Massime civili della Cassazione di novembre 2012

Appalto – Contratto avente ad oggetto la costruzione di un capannone di grandi dimensioni – È un contratto di appalto, e non di vendita – Fondamento

(cod. civ.: artt. 1362, 1470, 1655)

— Si ha contratto di appalto, e non contratto di vendita, quando, secondo la volontà dei contraenti, la prestazione della materia è un semplice mezzo per la produzione dell’opera, il lavoro essendo prevalente rispetto alla materia, sicché è corretta la qualificazione come appalto del contratto avente ad oggetto la costruzione di un capannone di grandi dimensioni (ottomila metri cubi), trattandosi necessariamente di un’opera da realizzare «su misura» rispetto alle specifiche esigenze del committente, con prevalenza, quindi, dell’obbligazione di facere rispetto alla pattuita fornitura di elementi prefabbricati da parte dell’appaltatore (Sent. n. 20301, Sez. III, del 20-11-2012).

 

Appalto – Contratto avente ad oggetto la costruzione di un’opera senza la prescritta concessione edilizia – È nullo per illiceità dell’oggetto

(cod. civ.: artt. 1346, 1418, 1453, 1655)

— Il contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di un’opera senza la prescritta concessione edilizia è nullo per illiceità dell’oggetto e la nullità impedisce al contratto di produrre i suoi effetti sin dall’origine, senza che rilevi l’eventuale ignoranza delle parti circa il mancato rilascio della concessione, ignoranza comunque inescusabile, attesa la grave colpa di ciascun contraente che avrebbe potuto verificare, con l’ordinaria diligenza, la reale situazione del bene dal punto di vista amministrativo. Pertanto nel giudizio instaurato dall’appaltatore contro l’appaltante per la risoluzione del contratto, rimasto ineseguito, e il risarcimento del danno conseguente, è irrilevante l’accertamento dell’eventuale responsabilità dell’appaltante in ordine al mancato rilascio della concessione edilizia dell’opera appaltata (nella specie, capannone industriale) (Sent. n. 20301, Sez. III, del 20-11-2012).

 

Appalto – Garanzia per difetti dell’opera – Risarcimento del danno

(cod. civ.: art. 1668)

— In tema di appalto, il risarcimento del danno in caso di vizi dell’opera appaltata, rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall’art. 1668 c.c., e normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall’appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatori, deve essere raccordato con la particolare natura dell’opus commissionato. Ne consegue che, se l’oggetto dell’appalto sia costituito dalla realizzazione di una res, gli interventi emendativi si rapportano all’opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d’arte; mentre, se oggetto dell’appalto sia l’esecuzione di un’attività sul bene del committente, alla luce dei medesimi criteri di proporzionalità tra oggetto dell’appalto e danno, il risarcimento non può concretarsi in un radicale intervento di ripristino della cosa (come avvenuto nella specie, per la messa a punto dei motori di un natante), facendo altrimenti conseguire al danneggiato una res qualitativamente migliore rispetto a quella anteriore, nella quale pure l’originario oggetto dell’appalto viene ricompreso (Sent. n. 19103, Sez. II, del 6-11-2012).

 

Appello – Azioni di risarcimento del danno – Inammissibilità della domanda di condanna specifica avanzata per la prima volta in grado di appello – Conseguenze

(cod. civ.: art. 2043; cod. proc. civ.: artt. 278 I co., 345 I co.)

— In tema di azioni di risarcimento del danno, l’inammissibilità della domanda di condanna specifica, avanzata per la prima volta in grado di appello, non comporta anche l’inammissibilità del gravame proposto avverso la sentenza di rigetto della domanda di condanna generica, originariamente proposta; il giudice di secondo grado, pertanto, ha il potere-dovere di pronunciarsi sui motivi d’appello riguardanti siffatto rigetto (Sent. n. 21002, Sez. III, del 27-11-2012).

 

Appello – Intervento – Fattispecie

(cod. proc. civ.: art. 344; cod. civ.: artt. 2644, 2652)

— A norma dell’art. 344 c.p.c., il terzo proprietario di un immobile in virtù di atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale inter alios, definita con sentenza di trasferimento di una quota indivisa dell’immobile che ricomprenda quello di cui il terzo è proprietario, è legittimato ad intervenire nel giudizio di appello pendente avverso la sentenza di trasferimento, al fine di far dichiarare l’inefficacia della sentenza nei suoi confronti (Sent. n. 20696, Sez. II, del 22-11-2012).

 

Assicurazione della responsabilità civile – Assicurato responsabile in solido con altro soggetto – Obbligo indennitario dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato

(cod. civ.: artt. 1203 n. 3, 1292, 1917)

— In tema di assicurazione della responsabilità civile, nel caso in cui l’assicurato sia responsabile in solido con altro soggetto, l’obbligo indennitario dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, nei limiti del massimale, non è riferibile alla sola quota di responsabilità dell’assicurato operante ai fini della ripartizione della responsabilità tra i condebitori solidali, ma concerne l’intera obbligazione dell’assicurato nei confronti del terzo danneggiato, ivi compresa quella relativa alle spese processuali cui l’assicurato, in solido con il coobbligato, venga condannato in favore del danneggiato vittorioso, solo in tal modo risultando attuata — attraverso la conformazione della garanzia sull’obbligazione — la funzione del contratto di assicurazione della responsabilità civile di liberare il patrimonio dell’assicurato dall’obbligazione di risarcimento, ferma restando la surroga dell’assicuratore, ex art. 1203, n. 3, c.c., nel diritto di regresso dell’assicurato nei confronti del corresponsabile, obbligato solidale (Sent. n. 20322, Sez. III, del 20-11-2012).

 

Assicurazione per conto altrui contro gli infortuni stipulata da un soggetto privo della qualità di consumatore – Disciplina ex D.Lgs. n. 206/2005 – Inapplicabilità

(cod. civ.: art. 1891; D.Lgs. 206/2005)

— All’assicurazione per conto altrui contro gli infortuni, stipulata da un soggetto privo della qualità di consumatore (nella specie, contratta da un ordine professionale a beneficio degli iscritti), è inapplicabile la disciplina di tutela del consumatore posta dal D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206, a nulla rilevando che tale qualità sia rivestita dal beneficiario (Sent. n. 21070, Sez. VI, del 27-11-2012).

 

Assicurazione R.C.A. – Rateizzazione del premio – Mancato pagamento della seconda rata del premio

(cod. civ.: art. 1901)

— Nei contratti di assicurazione della r.c.a. con rateizzazione del premio, una volta scaduto il termine di pagamento della seconda rata del premio, l’efficacia del contratto resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno successivo alla scadenza, e tale sospensione è opponibile anche ai terzi danneggiati, ai sensi dell’art. 1901 c.c. Ne consegue che, una volta spirato il suddetto termine, il veicolo deve ritenersi sprovvisto di assicurazione, e chi l’ha messo in circolazione incorrerà nella relativa sanzione amministrativa, a nulla rilevando che l’assicuratore abbia accettato un pagamento tardivo e rinunciato ad avvalersi della sospensione della garanzia (Sent. n. 21571, Sez. VI, del 30-11-2012).

 

Capacità processuale – Difetto di legittimazione processuale del genitore che agisca in giudizio in rappresentanza del figlio non più soggetto a potestà per essere divenuto maggiorenne

(cod. proc. civ.: artt. 75, 360; cod. civ.: artt. 2, 320)

— Il difetto di legittimazione processuale del genitore, che agisca in giudizio in rappresentanza del figlio non più soggetto a potestà per essere divenuto maggiorenne, può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, qualora detto figlio, nella specie proponendo direttamente il ricorso per cassazione avverso la pronuncia di inammissibilità del precedente gravame esperito dal proprio genitore nella indicata qualità, manifesti in modo non equivoco la propria volontà di sanatoria (Sent. n. 19308, Sez. III, dell’8-11-2012).

 

Competenza per territorio – Individuazione del luogo nel quale l’obbligazione deve essere adempiuta

(cod. proc. civ.: art. 20; cod. civ.: artt. 1182 III co., 2205)

— In tema di competenza per territorio, ai fini dell’individuazione del luogo nel quale l’obbligazione deve essere adempiuta, la filiale, pur dovendo essere retta, a norma dell’art. 2205 c.c., da un rappresentante indicato nel registro delle imprese, non assume mai autonomia tale da localizzare presso di sé i rapporti che pone in essere, con esclusione totale della sede centrale e del domicilio dell’imprenditore, sicché il domicilio del creditore, cui si riferisce l’art. 1182 c.c., si identifica, nei riguardi di una società, con la sede principale, anche nel caso che vi siano filiali (nella specie, sede provinciale o distaccata di banca) (Sent. n. 19473, Sez. VI, del 9-11-2012).

 

Comunione legale tra i coniugi – Beni personali – Dichiarazione di assenso ex art. 179 II co. cod. civ.

(cod. civ.: artt. 179 II co., 555, 724, 769, 2735)

— La dichiarazione di assenso ex art. 179, comma 2, c.c. del coniuge formalmente non acquirente, ma partecipante alla stipula dell’atto di acquisto, relativa all’intestazione personale del bene immobile o mobile registrato all’altro coniuge, può assumere natura ricognitiva e portata confessoria — quale fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte — sebbene esclusivamente di presupposti di fatto già esistenti, laddove sia controversa, tra i coniugi stessi, l’inclusione del medesimo bene nella comunione legale. Analoga efficacia in favore del coniuge formalmente acquirente non può, invece, attribuirsi ad una tale dichiarazione nel diverso giudizio fra i coeredi di colui che l’aveva resa, terzi rispetto al suddetto atto, in cui si discuta della configurabilità del menzionato acquisto come una donazione indiretta di quello stesso bene in favore del coniuge da ultimo indicato, nonché della sussistenza dei presupposti per il suo conferimento nella massa ereditaria del de cuius. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva qualificato come donazione indiretta, conseguentemente assoggettandola a collazione, l’acquisito di un immobile successivamente al matrimonio da parte di uno dei coniugi, in relazione al quale era stato provato il diretto versamento del prezzo all’alienante ad opera dell’altro, negando rilievo alla contraria dichiarazione di quest’ultimo contenuta nell’atto di acquisto) (Sent. n. 19527, Sez. II, del 9-11-2012).

 

Comunione legale tra i coniugi – Scioglimento

(cod. civ.: artt. 191, 192 III co., 194 I co.)

— Allo scioglimento della comunione legale tra i coniugi, ai sensi dell’art. 192, comma 3, c.c., devono essere restituiti solo gli importi impiegati in spese ed investimenti per il patrimonio comune già costituito, ma non il denaro personale impiegato per l’acquisto di immobile che concorre a formare la comunione, trovando, in tale ipotesi, applicazione l’art. 194, comma 1, c.c., secondo il quale all’atto dello scioglimento l’attivo ed il passivo devono essere ripartiti in quote uguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi (Sent. n. 19454, Sez. I, del 9-11-2012).

 

Comunione – Scioglimento – Giudizio – Mancata evocazione dei creditori iscritti e degli aventi causa da un partecipante

(cod. civ.: artt. 1111, 1113 I e III co.)

— In tema di scioglimento della comunione, i creditori iscritti e gli aventi causa da un partecipante, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell’art. 1113, comma 1, c.c., non sono parti in tale giudizio, al quale devono partecipare soltanto i titolari del rapporto di comunione, potendo i creditori iscritti e gli aventi causa intervenire in esso, al fine di vigilare sul corretto svolgimento del procedimento divisionale, ovvero proporre opposizione alla divisione non ancora eseguita a seguito di giudizio cui non abbiano partecipato, senza avere alcun potere dispositivo, in quanto non condividenti; ne consegue che la mancata evocazione dei creditori iscritti e degli aventi causa nel giudizio di scioglimento comporta che la divisione non abbia effetto nei loro confronti, come è espressamente previsto dall’art. 1113, comma 3, c.c. (Sent. n. 19529, Sez. II, del 9-11-2012).

 

Concordato preventivo – Termine entro cui il ricorrente deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma che si presume necessaria per l’intera procedura – Ha carattere perentorio – Fondamento e conseguenza

(R.D. 267/1942: art. 163 II co. n. 4)

— In tema di concordato preventivo, il termine fissato dal tribunale, ai sensi dell’art. 163 legge fall., per il deposito della somma che si presume necessaria per l’intera procedura ha carattere perentorio, atteso che la prosecuzione di quest’ultima richiede la piena disponibilità, da parte del commissario, dell’importo a tal fine destinato e questa esigenza può essere soddisfatta soltanto con la preventiva costituzione del fondo nel rispetto del predetto termine, da considerarsi quindi improrogabile, con conseguente inefficacia del deposito tardivamente effettuato (Sent. n. 20667, Sez. I, del 22-11-2012).

 

Condominio – Costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio – Limiti

(cod. civ.: art. 1127; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— L’art. 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio a tre limiti, dei quali il primo (le condizioni statiche) introduce un divieto assoluto, cui è possibile ovviare soltanto se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato all’esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo il fabbricato a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due limiti (il pregiudizio delle linee architettoniche e la diminuzione di aria e di luce) presuppongono l’opposizione facoltativa dei singoli condomini interessati. Ne consegue che le condizioni statiche dell’edificio rappresentano un limite all’esistenza stessa del diritto di sopraelevazione, e non già l’oggetto di verificazione e di consolidamento per il futuro esercizio dello stesso, limite che si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione, il cui accertamento costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Sent. n. 21491, Sez. II, del 30-11-2012).

 

Condominio – Legittimazione ad agire per far valere il rispetto delle disposizioni sulle distanze nelle costruzioni

(cod. civ.: artt. 873, 1117; cod. proc. civ.: art. 99)

— In ipotesi di edificio in condominio, tutti i condomini, e non soltanto quelli che siano proprietari delle porzioni esclusive direttamente prospettanti verso le costruzioni che violano le distanze legali, sono legittimati ad agire per far valere il rispetto delle disposizioni sulle distanze, le quali mirano a salvaguardare i fabbricati considerati nella loro interezza (Sent. n. 21486, Sez. II, del 30-11-2012).

 

Contratto – Diffida ad adempiere la prestazione in misura superiore al dovuto

(cod. civ.: artt. 1453, 1454)

— Non determina la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1454 c.c., la diffida con la quale un contraente intimi all’altro di adempiere la prestazione in misura superiore al dovuto (Sent. n. 20742, Sez. II, del 23-11-2012).

 

Contratto – Oggetto – Illiceità – Quando ricorre

(cod. civ.: artt. 1346, 1418, 1453, 1470, 2946; L. 1062/1971)

— L’illiceità di cui all’art. 1346 c.c., da riferirsi alla prestazione, quale oggetto immediato del contratto, e da valutare con riguardo al singolo atto di autonomia posto in essere dai privati, ricorre se la legge (una norma imperativa, o desumibile dai principi dell’ordine pubblico o del buon costume) escluda che il bene, individuato dalle parti, possa far parte dello specifico contratto concluso o costituire oggetto di commercio. Pertanto, la cessione di un’opera d’arte (nella specie, anteriore alla L. 20 novembre 1971 n. 1062, recante norme penali sulla contraffazione o alterazione di opere d’arte) conclusa nell’erroneo convincimento, comune ai contraenti, della sua genuinità, non configura un contratto nullo per illiceità dell’oggetto, ma una vendita di aliud pro alio che legittima l’acquirente a richiedere, nell’ordinario termine di prescrizione decennale, la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, ai sensi dell’art. 1453 c.c. (Sent. n. 19509, Sez. II, del 9-11-2012).

 

Contratto – Risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere rimasta senza esito – Accertamento – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 1454, 1455)

— Anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, intimata dalla parte adempiente e rimasta senza esito, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento, verificando, in particolare, sotto il profilo oggettivo, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 c.c. (Sent. n. 21237, Sez. III, del 29-11-2012).

 

Contratto – Risoluzione per inadempimento – Diffida ad adempiere – Termine assegnato al debitore – Può essere anche inferiore a quindici giorni

(cod. civ.: art. 1454 II co.; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— In tema di diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454, comma 2, c.c., il termine assegnato al debitore, cui è strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del contratto, può essere anche inferiore a quindici giorni, non ponendo detta norma una regola assoluta, purché tale minor termine risulti congruo per la natura del contratto o secondo gli usi, costituendo, in ogni caso, l’accertamento della congruità del termine giudizio di fatto di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se esente da errori logici e giuridici (Sent. n. 19105, Sez. II, del 6-11-2012).

 

Demanio lacuale – Alveo e spiaggia – Nozioni rispettive

(cod. civ.: artt. 822, 943)

— Il demanio lacuale, analogamente al demanio marittimo, comprende l’alveo, cioè l’estensione che viene coperta dal bacino idrico con le piene ordinarie, e la spiaggia, cioè quei terreni contigui lasciati scoperti dalle acque nel loro volume ordinario, che risultano necessari e strumentali al soddisfacimento delle esigenze della collettività di accesso, sosta e transito (per trasporto, diporto, esercizio della pesca, ecc.). A tal fine, l’alveo deve essere determinato con riferimento alle piene ordinarie allo sbocco del lago, e, quindi, mediante dati emergenti da rilevamenti costanti nel tempo, i quali siano idonei ad identificare la normale capacità del bacino idrografico, al di fuori di perturbamenti provocati da cause eccezionali; mentre la spiaggia, alla stregua della suindicata natura, va individuata mediante accertamenti specifici, per ogni singolo tratto della riva, rivolti a stabilire, in relazione alle caratteristiche dei luoghi, la porzione di terreno coinvolta dalle menzionate esigenze generali, non potendo, pertanto, essere globalmente ed indiscriminatamente classificata e perimetrata dall’amministrazione in base alla mera fissazione di una quota sul livello del mare (Sent. n. 19703, Sez. Unite, del 13-11-2012).

 

Demanio pubblico – Individuazione dei terreni ricompresi nel demanio per la loro contiguità a corsi d’acqua pubblici – Estensione dell’alveo – Riferibilità alle piene ordinarie

(cod. civ.: artt. 822, 934, 943)

— Ai fini dell’individuazione dei terreni ricompresi nel demanio per la loro contiguità a corsi d’acqua pubblici, opera il principio per cui l’estensione dell’alveo, suscettibile di detta ricomprensione, agli effetti dell’art. 943 c.c., deve essere determinata con riferimento alle piene ordinarie, senza tener conto del perturbamento determinato da cause eccezionali, né computarsi l’altezza delle opere antropiche realizzate su detti terreni, le quali rimangono acquisite al demanio per accessione una volta accertata la demanialità dell’area su cui siano sorte (Sent. n. 19703, Sez. Unite, del 13-11-2012).

 

Esecuzione forzata – Opposizione agli atti esecutivi – Verifica della tempestività dell’opposizione

(cod. proc. civ.: art. 617; cod. civ.: art. 2697)

— In tema di opposizione agli atti esecutivi, il principio secondo il quale l’opponente ha l’onere di provare, oltre che di allegare, il momento in cui ha avuto conoscenza dell’atto esecutivo che assume viziato, ai fini della verifica della tempestività dell’opposizione, deve essere coordinato con il principio dell’acquisizione probatoria, sicché l’onere è assolto anche qualora la prova della tempestività dell’opposizione emerga, comunque, dagli atti del fascicolo dell’esecuzione o da quelli prodotti dall’opposto (Sent. n. 19277, Sez. VI, del 7-11-2012).

 

Esecuzione forzata – Opposizione di terzo – Terzo che vanti un diritto reale sul bene immobile

(cod. proc. civ.: art. 619; cod. civ.: art. 948)

— Il terzo che vanti un diritto reale sul bene immobile oggetto di esecuzione forzata può non solo proporre l’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. durante il giudizio di esecuzione, ma può anche, dopo la vendita e l’aggiudicazione, rivendicare il bene nei confronti dell’aggiudicatario (Sent. n. 19761, Sez. III, del 13-11-2012).

 

Fallimento – Azione revocatoria di versamenti in conto corrente bancario – Presupposto

(R.D. 267/1942: art. 67 II co.; cod. civ.: art. 1853)

— La revocatoria dei versamenti in conto corrente bancario ha il suo presupposto di fatto nell’esistenza di un pagamento, eseguito dal correntista o da terzi ed accreditato dalla banca, con conseguente riduzione del credito di questa nei confronti del correntista medesimo. In particolare, l’accredito su di un conto anticipi (derivante dal pagamento dei titoli) ha effetto solutorio del credito della banca derivante dall’anticipo sugli effetti o sulle fatture versate in precedenza dal cliente, solo laddove esso abbia la sua provvista nell’utilizzazione di danaro di quest’ultimo o, in mancanza, nel pagamento dei titoli da parte di un terzo. Qualora nessuna di tali ipotesi si verifichi, perché il credito esigibile della banca, annullato su di un conto passivo, sia stato riportato, per il medesimo importo, a debito del cliente su un altro conto passivo non affidato, l’operazione assume, invece, mero valore contabile, non estinguendo alcun debito del cliente, né riducendo l’esposizione della banca, onde difettano i presupposti di applicabilità dell’art. 67, comma 2, legge fall. (Sent. n. 19108, Sez. I, del 6-11-2012).

 

Fallimento di una società controllata o collegata – Criterio generale di competenza ex art. 9 L. fall. – Applicabilità

(R.D. 267/1942: art. 9; cod. civ.: art. 2359)

— Il controllo o il collegamento tra società non determina, di per sé, alcuna deroga al criterio generale di competenza di cui all’art. 9 legge fall., attesa la presunzione di coincidenza della sede effettiva con quella legale. (Fattispecie in cui una s.p.a., con sede legale a Milano, controllava una s.r.l. con sede legale a Perugia: la C.S. ha confermato la decisione del Tribunale di Milano che ha dichiarato, a favore del Tribunale di Perugia, la propria incompetenza a decidere sul fallimento della s.r.l.) (Sent. n. 19147, Sez. VI, del 6-11-2012).

 

Fallimento – Opposizione allo stato passivo – Domande tardive non accolte

(R.D. 267/1942: artt. 99, 101; cod. proc. civ.: art. 339)

— L’opposizione allo stato passivo è regolata dall’art. 99 legge fall., anche in relazione alle domande tardive non accolte, per il rinvio operato dall’art. 101 legge fall. Pertanto, stante l’inapplicabilità delle norme dettate per l’appello al giudizio di opposizione allo stato passivo, la mancata comparizione della parte opponente, la quale si sia costituita nei termini, in udienza successiva alla prima, peraltro fissata dal tribunale per l’ammissione dei mezzi di prova, non può dar luogo a pronuncia di improcedibilità dell’opposizione (Sent. n. 19145, Sez. VI, del 6-11-2012).

 

Giudicato formatosi sull’esistenza di un rapporto di prestazione libero-professionale fra le parti – Non preclude di accertare la sussistenza a carico del professionista di accessorie obbligazioni di mandato

(cod. civ.: artt. 1713, 2230, 2909)

— Il giudicato per implicazione discendente, regolato dall’art. 2909 c.c., in base al quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato «a ogni effetto» tra le parti, riguarda le questioni dipendenti da quella pregiudiziale oggetto del giudicato stesso, e non quelle concernenti effetti ulteriori o diversi che non contraddicano il medesimo accertamento già compiuto. Ne consegue che il giudicato formatosi sull’esistenza di un rapporto di prestazione libero professionale fra le parti (nella specie, contratto di prestazione d’opera intellettuale, concluso con un commercialista incaricato della costituzione di una società) non preclude di accertare la sussistenza a carico del medesimo professionista di accessorie obbligazioni di mandato (nella specie, di restituzione delle somme versate al commercialista, in conseguenza dell’abbandono dell’iniziativa imprenditoriale che ne aveva giustificato la consegna), sia in quanto connaturali al rapporto principale, sia in quanto comunque compatibili con le obbligazioni caratteristiche di tale tipo contrattuale (Sent. n. 19503, Sez. II, del 9-11-2012).

 

Giurisdizione – Determinazione – Fattispecie in tema di controversia instaurata davanti al giudice ordinario ed avente ad oggetto la domanda di pagamento dei canoni per una concessione di servizio pubblico

(cod. proc. civ.: artt. 5, 99, 386; cod. civ.: art. 1460)

— La giurisdizione, come si desume dal principio di cui all’art. 5 c.p.c., si determina sulla base della domanda proposta dall’attore, e non anche del contenuto delle eventuali eccezioni sollevate dal convenuto, a meno che le stesse non evidenzino che la pretesa giudiziale avversa, già come ab initio formulata, implichi l’accertamento di situazioni soggettive esulanti dalla cognizione del giudice adito; ne consegue che, nella controversia instaurata davanti al giudice ordinario ed avente ad oggetto la domanda di pagamento dei canoni per una concessione di servizio pubblico, rimane ininfluente, ai fini della giurisdizione, l’eccezione di inadempimento formulata dal convenuto in relazione alla condotta mantenuta dall’amministrazione concedente (Ord. n. 19600, Sez. Unite, del 12-11-2012).

 

Impugnazioni – Acquiescenza alla sentenza – Nozione – Fattispecie in tema di spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente

(cod. proc. civ.: art. 329; D.Lgs. 546/1992)

— L’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., consiste nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare e può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione (Ord. n. 21385, Sez. trib., del 30-11-2012).

 

Istruzione probatoria – Decadenza dall’assunzione dei mezzi di prova – Giuramento decisorio – Rientra tra i mezzi di prova – Fondamento e conseguenza in tema di rito del lavoro

(cod. proc. civ.: artt. 208, 233, 429, 433, 437)

— La disposizione di cui all’art. 208 c.p.c., concernente la decadenza dall’assunzione della prova, trova applicazione nei confronti del giuramento decisorio, il quale, essendo deferito su fatti e tendendo al loro accertamento, costituisce un mezzo di prova vero e proprio. Ne consegue che anche nelle controversie soggette al rito del lavoro il giudice, dichiarata la decadenza della prova, è tenuto a fissare un’udienza successiva, per dar modo alla parte non comparsa di instare, se del caso, per la rimessione in termini e per consentire l’eventuale difesa della stessa parte, dovendosi ritenere che, ove il giudice d’appello ometta tale adempimento, decidendo la causa subito dopo la declaratoria di decadenza, la sentenza sia viziata da error in procedendo (Sent. n. 20777, Sez. lavoro, del 23-11-2012).

 

Istruzione probatoria – Rendimento dei conti

(cod. proc. civ.: artt. 263, 264)

— In tema di rendimento dei conti, la disposizione dell’art. 264 c.p.c., secondo la quale la parte che impugna il conto deve specificare le partite che intende contestare, è applicabile solo nel caso in cui il conto sia reso nella forma e per gli effetti di cui all’art. 263 c.p.c. e la relativa procedura sia stata prescelta dal giudice mediante l’adozione dei provvedimenti all’uopo occorrenti, poiché solo un rendimento del conto ordinato e completo può consentire una sua impugnativa specifica, laddove in ogni altra ipotesi il conto è soggetto agli apprezzamenti del giudice di merito come qualsiasi elemento indiziario di prova (Sent. n. 19991, Sez. III, del 14-11-2012).

— L’obbligo di rendiconto è legittimamente adempiuto quando chi vi sia tenuto fornisca la prova, attraverso i necessari documenti giustificativi, non soltanto delle somme incassate e dell’entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali all’individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato a criteri di buona amministrazione (Sent. n. 19991, Sez. III, del 14-11-2012).

 

Lavoro autonomo – Professioni intellettuali – Domanda originaria di liquidazione dei compensi con esclusivo riferimento alla tariffa professionale e successiva domanda di liquidazione con riferimento ai criteri sussidiari ex art. 2233 cod. civ.

(cod. civ.: art. 2233; cod. proc. civ.: art. 345 I co.)

— La domanda di liquidazione dei compensi per una prestazione di lavoro autonomo, secondo i criteri sussidiari previsti dall’art. 2233 c.c., non modifica i presupposti di fatto e l’oggetto della domanda di liquidazione del compenso originariamente proposta per la medesima prestazione con esclusivo riferimento alla tariffa professionale, ma solo il profilo giuridico o, più propriamente, il quadro normativo di riferimento della domanda e, pertanto, può essere proposta anche in appello (Sent. n. 20217, Sez. II, del 16-11-2012).

 

Lavoro autonomo – Rapporto tra l’amministratore di una società di capitali e la società medesima – Vi rientra

(cod. civ.: artt. 2230, 2233, 2389; Cost.: art. 36 I co.)

— Il rapporto tra l’amministratore di una società di capitali e la società medesima va ricondotto nell’ambito di un rapporto professionale autonomo e, quindi, ad esso non si applica l’art. 36, comma 1, Cost., che riguarda il diritto alla retribuzione in senso tecnico, poiché il diverso diritto al compenso professionale dell’amministratore, avendo natura disponibile, può essere oggetto di una dichiarazione unilaterale di disposizione da parte del suo titolare (nella specie, di rinuncia) (Sent. n. 19714, Sez. I, del 13-11-2012).

 

Lavoro subordinato – Tutela delle condizioni di lavoro – Risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro e malattie professionali

(cod. civ.: artt. 2059, 2087; cod. pen.: artt. 582, 590)

— In tema di risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro e malattie professionali, l’accertamento di un danno all’integrità fisica del lavoratore, addebitabile all’insufficiente predisposizione di strumenti di sicurezza in violazione di un obbligo di legge (e, quindi, l’attribuibilità al datore di lavoro di tale condotta omissiva), costituisce implicita valutazione della ricorrenza dei presupposti astrattamente contemplati per la fattispecie penale del reato di lesioni quantomeno colpose. (Nella specie, la Corte territoriale aveva, invece, ritenuto che la responsabilità del datore di lavoro discendesse direttamente dall’art. 2087 c.c., in sé suscettibile di assicurare diretto accesso al lavoratore alla tutela anche di tutti i danni non patrimoniali, ivi compreso il danno morale) (Sent. n. 20620, Sez. lavoro, del 22-11-2012).

 

Licenziamento illegittimo – Indennità sostitutiva della reintegrazione – Finalità

(L. 300/1970: art. 18; Cost.: artt. 24, 36; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: art. 30; cod. proc. civ.: art. 429 III co.)

— In tema di licenziamento illegittimo, la disciplina relativa al pagamento al lavoratore, che ne faccia richiesta, di un’indennità sostitutiva della reintegrazione mira a garantire il lavoratore a non subire, o a ridurre al minimo, i pregiudizi conseguenti al licenziamento illegittimo, dissuadendo il datore di lavoro dall’inadempimento dell’obbligo indennitario, il cui compimento comporterebbe un’ulteriore lesione dei valori di libertà, dignità e materiale sussistenza del prestatore che l’ordinamento costituzionale, e quello sovranazionale all’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, richiedono siano realizzati compiutamente e in concreto, senza che residuino spazi di elusione. Ne consegue che, ove il lavoratore abbia esercitato la suddetta opzione, l’effettività della tutela giurisdizionale del diritto al risarcimento in caso di ritardato pagamento da parte del datore di lavoro — ferma l’irrevocabilità della scelta del lavoratore e la non ripristinabilità del rapporto — è incompatibile con un limite fisso dell’ammontare della somma da riconoscere, né può essere soddisfatta dal mero riconoscimento di interessi e rivalutazione, ma impone che il danno sia commisurato alle retribuzioni maturate fino al giorno del pagamento dell’indennità sostitutiva e non solo fino alla data in cui il lavoratore ha operato la scelta (Sent. n. 20420, Sez. lavoro, del 21-11-2012).

 

Licenziamento per giusta causa – Fattispecie

(cod. civ.: artt. 2104, 2105, 2119)

— Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia (Sent. n. 21253, Sez. lavoro, del 29-11-2012).

 

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Esigenze produttive sopravvenute che, lungi dall’implicare la soppressione della posizione lavorativa, ne impongano, invece, il potenziamento

(L. 604/1966: art. 3)

— In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, allorquando le esigenze produttive sopravvenute, lungi dall’implicare la soppressione della posizione lavorativa, ne impongano, invece, il potenziamento, non sussiste il giustificato motivo oggettivo di licenziamento a fronte di un rifiuto del lavoratore di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno (Sent. n. 20016, Sez. lavoro, del 15-11-2012).

 

Locazione di un immobile adibito a cabina di trasformazione dell’energia elettrica – Clausola che neghi la possibilità di recesso fino a quando il locatore usufruisca di energia derivante da detta cabina – Nullità – Ragione

(cod. civ.: art. 1573)

— La clausola del contratto di locazione relativo ad immobile adibito a cabina di trasformazione dell’energia elettrica, con cui si neghi la possibilità di recesso fino a quando il locatore usufruisca di energia derivante da detta cabina, è nulla, perché, ponendosi come condizione unilaterale risolutiva del rapporto, gravante sul solo locatore, contrasta con la norma imperativa contenuta nell’art. 1573 c.c., secondo il quale la locazione non può avere una durata eccedente i trent’anni, dovendosi rilevare tale nullità sia nel caso in cui la durata ultratrentennale derivi dal termine originariamente assegnato al contratto, sia nel caso in cui essa consegua all’imposizione di limiti più o meno stringenti all’esercizio del potere di recesso alla scadenza (Sent. n. 20985, Sez. III, del 27-11-2012).

 

Locazione – Obbligo del conduttore di restituire la cosa alla scadenza del contratto

(cod. civ.: artt. 1219, 1220, 1375, 1590, 1591)

— In tema di locazione, il conduttore non può essere considerato in mora nell’adempimento dell’obbligo di restituzione della cosa alla scadenza del contratto, con conseguente cessazione altresì dell’obbligo di corrispondere l’indennità di occupazione, se abbia fatto, ai sensi dell’art. 1220 c.c., un’offerta seria ed affidabile, ancorché non formale, della prestazione dovuta, liberando l’immobile locato, e il locatore abbia opposto a tale offerta un rifiuto ingiustificato sulla base del dovere di buona fede ex art. 1375 c.c., non comportandone l’accettazione alcun sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi (nella specie, avendo le parti concordato che i necessari lavori di ripristino del bene sarebbero stati eseguiti dal medesimo locatore, dietro rimborso delle spese) (Sent. n. 21004, Sez. III, del 27-11-2012).

 

Obbligazioni – Adempimento – Imputazione del pagamento – Onere della prova del creditore che agisce per il pagamento

(cod. civ.: artt. 1193, 2697)

— Il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto, non anche il mancato pagamento, giacché il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca. L’onere della prova torna a gravare sul creditore il quale, di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito, controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore, fermo restando che, in caso di crediti di natura omogenea, la facoltà del debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento va esercitata e si consuma all’atto del pagamento stesso, sicché una successiva dichiarazione di imputazione, fatta dal debitore senza l’adesione del creditore, è giuridicamente inefficace (Sent. n. 19527, Sez. II, del 9-11-2012).

 

Obbligazioni pecuniarie della P.A. – Interessi – Liquidità ed esigibilità del credito

(cod. civ.: art. 1282)

— La liquidità e l’esigibilità del credito, necessari perché questo produca interessi ai sensi dell’art. 1282 c.c., possono essere escluse anche da circostanze e modalità di accertamento dell’obbligazione in ragione della natura pubblicistica del soggetto debitore, così che, qualora ai fini della decorrenza degli interessi corrispettivi sia necessario stabilire il momento in cui il credito pecuniario verso la P.A. è divenuto liquido ed esigibile, l’accertamento di tale duplice requisito non può prescindere dal presupposto formale dell’emissione del titolo di spesa che, sia pure alla stregua di una regola di condotta interna della P.A. (che da una norma di legge ripete la sua efficacia vincolante interna), condiziona e realizza il requisito suddetto; tale principio non subisce deroghe quando le operazioni di verifica siano particolarmente semplici e consistano nella ricognizione della valutazione della perdita precedentemente effettuata e nell’applicazione del coefficiente di riliquidazione (Sent. n. 19452, Sez. I, del 9-11-2012).

 

Prescrizione – Interruzione per effetto di riconoscimento

(cod. civ.: art. 2944)

— A norma dell’art. 2944 c.c. la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere e, pertanto, il riconoscimento deve provenire dal soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto, e non già da un terzo, che non sia stato autorizzato dal primo, né risulti comunque abilitato ad agire in suo nome o per suo conto, quale il professionista di fiducia incaricato dalla compagnia assicurativa di sottoporre l’assicurato contro gli infortuni a visita medico-legale. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha affermato che le note, redatte dal medico legale incaricato di sottoporre a visita medica il paziente, non costituiscono riconoscimento del diritto dell’assicurato e non sono quindi idonee ad interrompere la prescrizione) (Sent. n. 21248, Sez. III, del 29-11-2012).

 

Prescrizione – Rinuncia tacita – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 2934, 2937 III co.; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— Perché sussista una rinunzia tacita alla prescrizione occorre che nel comportamento del debitore sia insita la volontà inequivocabile del medesimo di non avvalersi della causa estintiva del diritto altrui; il relativo accertamento rientra nei poteri del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi motivazionali rilevabili in tale sede. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che potesse qualificarsi come rinuncia alla prescrizione il rifiuto, opposto da un assicuratore privato, di pagamento dell’indennizzo per motivi diversi dal decorso del termine di prescrizione) (Sent. n. 21248, Sez. III, del 29-11-2012).

 

Procedure concorsuali della P.A. preordinate all’assunzione dei dipendenti – «Scorrimento della graduatoria» – Presupposto

(L. 537/1993: art. 3; D.P.R. 487/1994: art. 15; D.Lgs. 267/2000: art. 91)

— In materia di procedure concorsuali della P.A. preordinate all’assunzione dei dipendenti, l’istituto del cosiddetto «scorrimento della graduatoria» presuppone necessariamente una decisione dell’amministrazione di coprire il posto; pertanto l’obbligo di servirsi della graduatoria entro il termine di efficacia della stessa preclude all’amministrazione di bandire una nuova procedura concorsuale ove decida di reclutare personale, ma non la obbliga all’assunzione dei candidati non vincitori in relazione a posti che si rendano vacanti e che l’amministrazione stessa non intenda coprire, restando inoltre escluso che la volontà dell’amministrazione di coprire il posto possa desumersi da un nuovo bando concorsuale, poi annullato, ovvero da assunzioni di personale a termine (Sent. n. 19585, Sez. Unite, del 12-11-2012).

 

Processo del lavoro – Appello – Divieto di jus novorum – Ambito

(cod. proc. civ.: artt. 416 III co., 420 I co., 437 II co.)

— Nel rito del lavoro, il divieto di jus novorum in grado di appello, di cui all’art. 437, comma 2, c.p.c., ha ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni improprie ed alle mere difese, ossia alle deduzioni volte alla contestazione dei fatti costitutivi e giustificativi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa ovvero alle deduzioni che corroborano sul piano difensivo eccezioni già ritualmente formulate. Ne deriva che, nel giudizio promosso dall’agente verso la preponente per accertare l’unicità di due rapporti formalmente distinti, il richiamo da parte della società preponente al diritto, derivante da accordo sindacale, alla risoluzione del primo contratto, operato per sostenere l’affermazione della risoluzione già avvenuta e da accertare nel processo, non costituisce eccezione in senso stretto bensì semplice argomento difensivo, non assoggettato alle preclusioni degli artt. 416, comma 3, 420, comma 1, e 437, comma 2, c.p.c. (Nella specie, nell’affermare il principio su esteso, la S.C. ha rilevato l’assenza di jus novorum in appello, in quanto la società aveva, fin dal giudizio di primo grado, dichiarato di aver receduto dal primo contratto, aveva depositato l’accordo sindacale — su cui poi in appello aveva preteso di fondare la risoluzione — e su detto accordo vi era stato anche il contraddittorio delle parti) (Sent. n. 20157, Sez. lavoro, del 16-11-2012).

 

Processo – Sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata nel caso in cui tra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato

(cod. proc. civ.: art. 337)

— Quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione specifica, è possibile soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., pur se la sentenza di primo grado, la cui autorità è invocata, sia stata emessa dal giudice amministrativo, dovendosi anche in tal caso identificare il rilievo di una sentenza oggetto di impugnazione, pronunciata nell’esercizio di una specifica giurisdizione, con riguardo al bene della vita del quale si discute davanti al giudice ordinario (Sent. n. 21348, Sez. Unite, del 30-11-2012).

 

Processo – Sospensione disposta dal giudice civile per la necessità di attendere la decisione di una questione da lui ritenuta appartenente all’esclusiva giurisdizione amministrativa

(cod. proc. civ.: artt. 41, 42, 295)

— In ipotesi di sospensione del processo disposta dal giudice civile, non già in considerazione della ravvisata sussistenza del rapporto di pregiudizialità di cui all’art. 295 c.p.c., ma per la necessità di attendere la decisione di una questione da lui ritenuta appartenente all’esclusiva giurisdizione amministrativa, l’impugnazione della relativa ordinanza col mezzo del regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 42 c.p.c., e per il motivo della denunciata violazione dell’art. 295 c.p.c., investe in realtà inevitabilmente il profilo della giurisdizione; ne consegue la possibilità che la proposta istanza per regolamento di competenza sia convertita, ricorrendone le condizioni fissate dall’art. 41 c.p.c., in ricorso per regolamento di giurisdizione e rimessa per la decisione alle sezioni unite della Corte di cassazione (Sent. n. 21348, Sez. Unite, del 30-11-2012).

 

Processo – Sospensione necessaria – Quando è applicabile al processo tributario

(cod. proc. civ.: art. 295; D.Lgs. 546/1992)

— La sospensione necessaria del processo, di cui all’art. 295 c.p.c., è applicabile anche al processo tributario, qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell’uno costituisca indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati. (Nella specie, a seguito di rettifica delle perdite dichiarate da una società, era stato intrapreso un giudizio avente ad oggetto l’avviso di recupero dell’imposta patrimoniale, accertamento dalla S.C. ritenuto consequenziale al successivo giudizio vertente sulle somme dovute a titolo di Irpeg e Ilor) (Sent. n. 21396, Sez. trib., del 30-11-2012).

 

Processo straniero – Litispendenza internazionale – Presupposti

(L. 218/1995: artt. 7, 64 lett. e)

— La litispendenza internazionale presuppone, oltre all’identità delle parti, l’identità dei risultati pratici perseguiti dalle domande, a prescindere dall’identità del loro petitum immediato e del titolo specifico che esse fanno valere, atteso che l’art. 7 della legge n. 218 del 1995, interpretato alla luce del successivo art. 64, lett. e), mira ad evitare inutili duplicazioni di attività giudiziaria e ad eliminare il rischio di conflitto tra giudicati, obiettivi che sarebbero frustrati ove il giudizio nazionale e quello straniero potessero determinare risultati pratici fra loro incompatibili. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso il decreto di sospensione del giudizio interno sulla decadenza dalla potestà genitoriale, provvedimento motivato dall’anteriore pendenza in Brasile di un giudizio tra i genitori sull’affidamento del minore) (Sent. n. 21108, Sez. Unite, del 28-11-2012).

 

Proprietà – Denunzia di nuova opera – Condizione – Ragionevole pericolo che il danno si verifichi in conseguenza della situazione determinatasi per effetto dell’opera portata a compimento – Sufficienza

(cod. civ.: art. 1171)

— La denuncia di nuova opera può essere proposta anche con riferimento ad opere che, pur se non immediatamente lesive, siano suscettibili di essere ritenute fonte di un futuro danno in forza dei caratteri obiettivi che potrebbero assumere se condotte a termine. La condizione dell’azione di nuova opera, pertanto, non deve necessariamente identificarsi in un danno certo o già verificatosi, ma può anche riconoscersi nel ragionevole pericolo che il danno si verifichi in conseguenza della situazione determinatasi per effetto dell’opera portata a compimento (Sent. n. 21491, Sez. II, del 30-11-2012).

 

Proprietà industriale – Invenzione e modello di utilità – Nozioni rispettive

(D.Lgs. 30/2005: artt. 45, 82)

— L’invenzione industriale si fonda sulla soluzione di un problema tecnico, non ancora risolto, atta ad avere concrete realizzazioni nel campo industriale, tali da apportare un progresso rispetto alla tecnica ed alle cognizioni preesistenti e da esprimere un’attività creativa dell’inventore, così come la caratteristica giuridica del modello di utilità è pure la sua particolare novità intrinseca, che determina un incremento di utilità, ovvero di comodità, di un oggetto preesistente; pertanto il regime di protezione previsto per i brevetti si estende a siffatti modelli, poiché, pur con un grado «minore» di novità, migliorano l’attuazione del «già noto», conferendo un’utilità nuova ed ulteriore (Sent. n. 19715, Sez. I, del 13-11-2012).

 

Proprietà – Limitazioni legali – Distanza delle costruzioni dalle vedute

(cod. civ.: art. 907)

— Per effetto delle limitazioni previste dall’art. 907 c.c. a carico del fondo su cui si esercita una veduta (sia che questa sia stata aperta jure servitutis, sia che venga esercitata jure proprietatis), deve osservarsi un distacco di tre metri in linea orizzontale dalla veduta diretta, da rispettare eventualmente anche dai lati della finestra da cui si esercita la veduta obliqua, dovendosi osservare analogo distacco anche in senso verticale per una profondità di tre metri al di sotto della soglia della veduta. Nel caso di veduta diretta e obliqua, la distanza minima di tre metri «sotto soglia», prescritta dal comma 3 dell’art. 907 cit., non va, peraltro, considerata solo in linea perpendicolare rispetto al davanzale della finestra, ma si estende in basso anche obliquamente rispetto ai punti estremi di tale davanzale (Sent. n. 20699, Sez. II, del 22-11-2012).

 

Proprietà – Limitazioni legali – Distanze nelle costruzioni – Muro di cinta

(cod. civ.: artt. 873, 878)

— Il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell’art. 878 c.c., ai fini dell’esenzione dal rispetto delle distanze legali imposte dall’art. 873 c.c., deve essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde separarla dalle altre, non superare un’altezza di tre metri ed avere entrambe le facce isolate da altre costruzioni. (Nella specie, la S.C., in base all’enunciato principio, ha confermato la decisione di merito che aveva considerato costruzione il muro di confine sovrastante il livello di campagna, delimitante il fondo su due lati e realizzato per un tratto in aderenza ad un muro sul confine) (Sent. n. 20351, Sez. II, del 20-11-2012).

 

Proprietà – Limitazioni legali – Distanze nelle costruzioni – «Volume tecnico» – Nozione

(cod. civ.: artt. 871, 873)

— In tema di distanze legali tra fabbricati, integra la nozione di «volume tecnico», non computabile nella volumetria della costruzione, solo l’opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi — quali quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore — di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali dell’abitazione e che non possono essere ubicati nella stessa. Pertanto, nella nozione di «volumi tecnici» di cui all’art. 10, comma 10, del piano urbanistico del comprensorio della Vallagarina, che stabilisce le distanze dai confini e dalle costruzioni limitatamente ai fabbricati, con riferimento a strutture destinate a funzioni complementari ed integrative di tipo tecnico, non rientrano i silos, che costituiscono autonome costruzioni tecnologicamente predisposte alla conservazione ed allo stoccaggio di prodotti alimentari o minerali (Sent. n. 20886, Sez. II, del 26-11-2012).

 

Proprietà – Riparazioni e ricostruzioni necessarie del muro comune – Sono a carico di tutti i comproprietari in proporzione alle rispettive quote – Limite

(cod. civ.: artt. 882 I co., 2043)

— Ai sensi dell’art. 882, comma 1, c.c., le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di tutti i comproprietari in proporzione alle rispettive quote, salvo che la spesa sia stata cagionata dal fatto di uno dei partecipanti, nel qual caso l’obbligo di riparare il muro comune è posto per l’intero a chi abbia cagionato il fatto che ha dato origine alla spesa. Ne consegue che, qualora il danno subito dalla cosa comune sia imputabile ad uno dei due comproprietari, l’altro può agire nei confronti del danneggiante per il risarcimento dei danni per equivalente solo nei limiti dell’importo corrispondente alla spesa necessaria per la riparazione su lui gravante in proporzione al suo diritto di comproprietà, e non anche per la parte di esborso dovuta dal comproprietario danneggiante (Sent. n. 20733, Sez. II, del 23-11-2012).

 

Proprietà – Veduta – Configurabilità – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 900, 905, 907)

— Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le c.d. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilità di «affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente», siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la richiesta di arretramento del parapetto di un terrazzo risultato essere alto soltanto novanta centimetri, altezza corrispondente a quella non del «petto» ma del «basso ventre» di una persona di ordinaria statura e, quindi, insufficiente per garantire un affaccio sicuro) (Sent. n. 18910, Sez. II, del 5-11-2012).

 

Prova – Valutazione – Contegno processuale delle parti

(cod. proc. civ.: artt. 116 II co., 302, 360 I co. nn. 3 e 5)

— L’esercizio negativo della facoltà del giudice di desumere argomenti di prova dal contegno processuale delle parti, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c., non è censurabile in sede di legittimità, né per violazione di legge, né per vizio di motivazione, trattandosi di un potere discrezionale attinente alla valutazione di una prova atipica o innominata. (Principio enunciato in fattispecie relativa all’accertamento della qualità di erede del soggetto che si costituisce in prosecuzione ex art. 302 c.p.c. e all’argomento di prova desumibile dal contegno della controparte, che tale qualità abbia riconosciuto o abbia impostato una linea difensiva incompatibile con la sua negazione) (Sent. n. 20673, Sez. I, del 22-11-2012).

 

Regolamento di competenza – Fattispecie in cui è inammissibile

(cod. proc. civ.: artt. 33, 38, 42, 43)

— È inammissibile il regolamento di competenza avverso la sentenza con la quale il giudice, investito da più domande cumulate nei confronti di altrettanti convenuti, dichiari l’infondatezza nel merito di una di esse e, di conseguenza (a causa del venir meno del criterio di collegamento assicurato dalla presenza in giudizio della parte mandata assolta dalla pretesa attorea), dichiari la propria incompetenza per territorio nei confronti degli altri convenuti (Sent. n. 19472, Sez. VI, del 9-11-2012).

 

Responsabilità dei precettori e dei maestri – Obblighi, da parte dell’istituto scolastico, di sorveglianza e di tutela

(cod. civ.: artt. 2048, 2051)

— In tema di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., gli obblighi di sorveglianza e di tutela dell’istituto scolastico scattano solo allorché l’allievo si trovi all’interno della struttura, mentre tutto quanto accade prima può, ricorrendone le condizioni, trovare ristoro attraverso l’attivazione della responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. (Fattispecie in cui un’alunna della terza elementare era caduta, all’entrata di scuola, sui gradini esterni sdrucciolevoli ed instabili dell’istituto scolastico, riportando gravi lesioni) (Sent. n. 19160, Sez. III, del 6-11-2012).

 

Responsabilità del medico – Consenso presunto o tacito del paziente all’atto medico – Ammissibilità – Esclusione

(cod. civ.: artt. 1218, 2043, 2697, 2727)

— Il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato dato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico (Sent. n. 20984, Sez. III, del 27-11-2012).

 

Revocazione per errore di fatto – Caso – Ricorso per cassazione – Motivi – Vizio di motivazione

(cod. proc. civ.: artt. 360 I co. n. 5, 395 n. 4)

— L’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti (Sent. n. 19921, Sez. II, del 14-11-2012).

 

Ricorso per cassazione – Cassazione con rinvio – Giudizio di rinvio e giudizio avente ad oggetto la restituzione dei beni consegnati o delle somme pagate in virtù della sentenza cassata – Autonomia

(cod. proc. civ.: artt. 273, 336, 389, 392)

— In ipotesi di cassazione con rinvio il giudizio di rinvio e quello avente ad oggetto la restituzione dei beni consegnati o delle somme pagate in virtù della sentenza cassata sono tra loro autonomi, onde possono essere celebrati separatamente e non v’è necessità di riunirli. Tuttavia, tale reciproca autonomia non è assoluta, in quanto viene meno nel caso in cui il giudizio di rinvio si concluda prima di quello sulle restituzioni, con una decisione identica a quella contenuta nella sentenza cassata: e, ricorrendo tale ipotesi, il giudice delle restituzioni dovrà rigettare la domanda innanzi a lui proposta (Sent. n. 19153, Sez. III, del 6-11-2012).

 

Ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato con la quale sia stato ritenuto precluso l’esame della questione di giurisdizione, reiterata con l’appello, sul presupposto della formazione del giudicato sul punto

(cod. proc. civ.: artt. 324, 362 I co.; cod. civ.: art. 2909; Cost.: art. 111 VIII co.)

— Il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato, con la quale sia stato ritenuto precluso l’esame della questione di giurisdizione, reiterata con l’appello, sul presupposto della formazione del giudicato sul punto — dovuto alla mancata impugnazione della sentenza del giudice ordinario di primo grado, che aveva declinato la propria giurisdizione in favore di quello amministrativo — è da considerare proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, in base agli artt. 111, ultimo comma, Cost., e 362, comma 1, c.p.c., e perciò ammissibile, spettando alla Corte di cassazione non soltanto il giudizio vertente sull’interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull’applicazione delle disposizioni, non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni (Sent. n. 20727, Sez. Unite, del 23-11-2012).

 

Risarcimento del danno da fatto illecito – Crediti dei soggetti danneggiati da uno stesso fatto illecito – Liquidazione cumulativa – Quando è ammissibile

(cod. civ.: artt. 1226, 1292, 2043, 2697)

— I crediti dei soggetti danneggiati da uno stesso fatto illecito sono tra loro autonomi, né tra essi si crea un vincolo di solidarietà attiva solo per la loro comune origine; tuttavia, ne è ammissibile la richiesta di liquidazione cumulativa, alla stregua di una valutazione in via equitativa del danno, quando, pur essendo agevole la prova del pregiudizio complessivamente patito, sia oltremodo difficoltosa la prova della porzione subita da ciascuno, non avendo il debitore alcun interesse alla ripartizione del quantum debeatur tra i creditori, né rilevando quello, di fatto, e in contrasto con la condizione di cui all’art. 1226 c.c., di trarre vantaggio dalla difficoltà dei creditori di provare l’ammontare del danno individuale (Sent. n. 19713, Sez. I, del 13-11-2012).

 

Risarcimento del danno da perdita delle chance di guarigione di un prossimo congiunto – Domanda relativa – Deve essere formulata esplicitamente

(cod. civ.: artt. 1218, 2043; cod. proc. civ.: art. 99)

— La domanda di risarcimento del danno da perdita delle chance di guarigione di un prossimo congiunto, in conseguenza di una negligente condotta del medico che l’ebbe in cura, deve essere formulata esplicitamente, e non può ritenersi implicita nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di «tutti i danni» causati dalla morte della vittima (Sent. n. 21245, Sez. III, del 29-11-2012).

 

Risarcimento del danno non patrimoniale – Danno biologico, danno morale e danno esistenziale – Autonoma risarcibilità – Sussistenza

(cod. civ.: art. 2059)

— Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile «esistenziale», e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (in applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, in un caso di danno da uccisione del prossimo congiunto, aveva liquidato ai congiunti due diversi danni, definiti l’uno morale e l’altro esistenziale) (Sent. n. 20292, Sez. III, del 20-11-2012).

 

Sconto bancario – Contratto – Forma scritta – Necessità – Esclusione

(cod. civ.: artt. 1858, 2009; R.D. 1669/1933: art. 15)

— Il contratto di sconto bancario non richiede la forma scritta, né ad substantiamad probationem, ferma restando, ove lo sconto avvenga mediante la girata di una cambiale, l’osservanza delle formalità richieste dalla legge di circolazione del titolo medesimo (Sent. n. 20319, Sez. III, del 20-11-2012).

 

Servitù di passaggio – Esercizio – Conflitto tra il proprietario del fondo servente ed il titolare della servitù – Criteri di composizione

(cod. civ.: artt. 841, 1051, 1064 II co.; Cost.: art. 19)

— Il conflitto tra il proprietario del fondo servente, cui è assicurata dall’art. 841 c.c. la facoltà di chiusura del fondo, e il titolare della servitù di passaggio è regolato dall’art. 1064, comma 2, c.c., nel senso di garantire a quest’ultimo il libero e comodo esercizio della servitù, in base ad un bilanciamento che tenga conto del contenuto specifico del diritto reale di godimento, delle precedenti modalità del suo esercizio, dello stato e della configurazione dei luoghi. Ne consegue che, con riguardo a domanda proposta da un parroco, quale rappresentante legale di una determinata comunità di fedeli, al fine di ottenere la rimozione di opere di recinzione apposte su di una strada, sulla quale la chiesa, appartenente alla parrocchia, ha diritto di passaggio, il giudice, nel valutare in quale misura le modalità di chiusura del fondo finiscano per compromettere tale diritto, deve considerare come lo stesso passaggio sia funzionale all’esercizio della fondamentale ed inviolabile libertà religiosa dei frequentatori del luogo di culto, che il parroco è legittimato a far valere in giudizio (Sent. n. 21129, Sez. II, del 28-11-2012).

 

Spese processuali – Responsabilità aggravata – Condanna del soccombente al pagamento alla controparte di una «somma equitativamente determinata»

(cod. proc. civ.: artt. 96 III co., 385 IV co.; L. 69/2009: artt. 45 XII co., 46 XX co.)

— In tema di responsabilità aggravata, il comma 3 dell’art. 96 c.p.c., aggiunto dalla L. 18 giugno 2009 n. 69, disponendo che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una «somma equitativamente determinata», non fissa alcun limite quantitativo, né massimo, né minimo, al contrario del quarto comma dell’art. 385 c.p.c., che, prima dell’abrogazione ad opera della medesima legge, stabiliva, per il giudizio di cassazione, il limite massimo del doppio dei massimi tariffari. Pertanto, la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull’importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l’unico limite della ragionevolezza. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito che aveva condannato il soccombente a pagare una somma non irragionevole in termini assoluti e pari al triplo di quanto liquidato per diritti e onorari) (Ord. n. 21570, Sez. VI, del 30-11-2012).

 

Supercondominio – Nozione

(cod. civ.: art. 1117)

— Ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere ipso iure et facto, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongano altrimenti. Si tratta di una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione (Sent. n. 19939, Sez. II, del 14-11-2012).

 

Testamento – Revocazione della revocazione

(cod. civ.: art. 681)

— L’art. 681 c.c., il quale disciplina la sola revocazione espressa della precedente revoca di un testamento, disponendo in tal caso la reviviscenza delle disposizioni revocate, non preclude al testatore la possibilità di revocare tacitamente la precedente revocazione, lasciando, tuttavia, in tal caso impregiudicata l’efficacia del testamento per primo revocato, da valutare in base alla volontà complessiva del testatore. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito, la quale, in presenza di un testamento pubblico che aveva espressamente revocato un precedente testamento olografo, su cui in seguito ancora il de cuius aveva apposto una nuova data posteriore alla data del testamento pubblico e una nuova firma, aveva inteso tale manifestazione di volontà riproduttiva del primo scritto quale fattispecie di revoca della revoca, escludendo però che le disposizioni dell’originario testamento olografo rivivessero automaticamente) (Sent. n. 19915, Sez. II, del 14-11-2012).

 

Trasferimento d’azienda – Presupposto

(cod. civ.: art. 2112)

— In tema di trasferimento di azienda, l’art. 2112 c.c. presuppone che il trasferimento dei beni, materiali ed immateriali, destinati all’esercizio dell’impresa — nella loro funzione unitaria e strumentale e non nella loro autonoma individualità —, sia effettivo e reale, sicché non vi è un legittimo trasferimento di ramo d’azienda ove vi sia la sua creazione fittizia proprio in vista della cessione. (Nella specie, la Corte territoriale aveva escluso l’effettività del trasferimento evidenziando non soltanto l’inconsistenza dei beni materiali ceduti, sostanzialmente inidonei a consentire lo svolgimento dell’attività produttiva del cessionario, ma anche la mancanza di autonomi rapporti tra fornitori e cessionario, la mancata attribuzione di software e di strumentazione informatica autonoma allo stesso — come dimostrato dalla circostanza che per accedere al sistema del preteso cessionario bisognava prima accedere alla rete Intranet del cedente —, nonché infine la circostanza che nemmeno i lavoratori coinvolti dal trasferimento risultavano costituire un gruppo coeso per professionalità, legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know how tale da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una mera sommatoria di dipendenti) (Sent. n. 20422, Sez. lavoro, del 21-11-2012).

 

Vendita – Garanzia per i vizi della cosa venduta – Disciplina normativa applicabile

(cod. civ.: artt. 1476 n. 3, 1490 e segg., 2058)

— In tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 e ss. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, dell’actio quanti minoris o dell’actio redhibitoria. Ne consegue che il compratore non dispone — neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica — di un’azione «di esatto adempimento» per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene (Sent. n. 19702, Sez. Unite, del 13-11-2012).

 

Vendita – Garanzia per i vizi della cosa venduta – Impegno del venditore ad eliminare i vizi accettato dal compratore – Effetti

(cod. civ.: artt. 1230, 1476 n. 3, 1490, 1495 III co., 2936, 2946)

— In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale (Sent. n. 19702, Sez. Unite, del 13-11-2012).

 

Vendita – Obbligazioni del compratore – Pagamento del prezzo ex art. 1498 III co. cod. civ.

(cod. civ.: art. 1498 III co.; cod. proc. civ.: art. 20)

— La disposizione del comma 3 dell’art. 1498 c.c., a norma della quale il pagamento della merce compravenduta, quando non deve essere contestuale alla consegna, va eseguito al domicilio del venditore, è operante anche ai fini della competenza per territorio ex art. 20 c.p.c., in tutti i casi in cui sia mancato un espresso ed inequivoco patto contrario delle parti (Sent. n. 19920, Sez. II, del 14-11-2012).

 

Vendita – Potere della parte di disporre delle eccezioni di prescrizione e decadenza dell’azione di garanzia – Fattispecie in tema di garanzia di buon funzionamento

(cod. civ.: artt. 1495, 1512; cod. proc. civ.: art. 112)

— In tema di compravendita, il potere della parte di disporre delle eccezioni di prescrizione e decadenza dell’azione di garanzia si limita agli elementi costitutivi delle eccezioni stesse, ossia al decorso del tempo e alla volontà di profittare del conseguente effetto estintivo, mentre non concerne l’individuazione del tipo di garanzia applicabile, che è compito del giudice determinare, eventualmente riqualificando la fattispecie dedotta in giudizio (nella specie, garanzia di buon funzionamento, soggetta ai termini ex art. 1512 c.c., in luogo della garanzia edilizia, soggetta ai termini ex art. 1495 c.c.) (Sent. n. 21463, Sez. II, del 30-11-2012).