Massime civili della Cassazione di gennaio 2013

Agenzia – Contratto – Forma – È prescritta ad probationem – Conseguenza

(cod. civ.: artt. 1362, 1742, 2725, 2727, 2730, 2736)

— La forma del contratto di agenzia, essendo prevista da una fonte negoziale, deve ritenersi prescritta ad probationem con la conseguenza che, in mancanza di essa, è valida l’esecuzione volontaria del contratto, la conferma di esso e la sua ricognizione volontaria, come pure la possibilità di ricorrere alla confessione ed al giuramento, dovendosi escludere unicamente la possibilità della prova testimoniale (salvo che per dimostrare la perdita incolpevole del documento) e di quella per presunzioni. Ove, peraltro, risulti documentata per iscritto l’esistenza del contratto, è ammissibile il ricorso alla prova orale (o per presunzioni) al fine di dimostrare quale sia stata la comune intenzione della parte mediante un’interpretazione del contratto non limitata al senso strettamente letterale delle parole (Sent. n. 1824, Sez. lavoro, del 28-1-2013).

 

Appalto – Responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili – È una responsabilità extracontrattuale presunta iuris tantum – Conseguenza

(cod. civ.: artt. 1669, 2043, 2697, 2729)

— La responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 1669 c.c. è una responsabilità presunta iuris tantum, sicché, quando l’opera (nella specie, rete fognaria) manifesta gravi difetti strutturali, l’appaltatore può liberarsene provandone l’ascrivibilità al caso fortuito o all’opera di terzi (nella specie, attraverso la prova dell’utilizzazione anormale dell’impianto, con immissione di materiali di difficile smaltimento) (Sent. n. 1026, Sez. III, del 17-1-2013).

 

Appello – Motivi – Onere di specificazione – Semplice richiamo per relationem alle difese svolte in primo grado – Sufficienza – Esclusione – Fondamento

(cod. proc. civ.: art. 342 I co.)

— L’onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall’art. 342 c.p.c., non è assolto con il semplice richiamo per relationem alle difese svolte in primo grado, perché per dettato di legge i motivi di gravame devono essere contenuti nell’atto d’impugnazione e, peraltro, la generica relatio a tutto quanto prospettato in prime cure finisce per eludere il menzionato precetto normativo, domandando inoltre al giudice ad quem un’opera d’individuazione delle censure che la legge processuale non gli affida (Sent. n. 1248, Sez. I, del 18-1-2013).

 

Appello – Produzione di nuovi documenti – Interpretazione giurisprudenziale dell’art. 345 III co. cod. proc. civ.

(cod. proc. civ.: art. 345 III co.)

— L’orientamento giurisprudenziale, consolidatosi dopo la sentenza delle Sezioni Unite della S.C. n. 8203 del 2005, secondo cui, nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, il comma 3 dell’art. 345 c.p.c. va interpretato nel senso che esso fissa il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova nuovi (cioè non richiesti in precedenza) e, quindi, anche delle produzioni documentali — indicando, nello stesso tempo, i limiti di detto principio ed i requisiti che tali documenti devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame — non ha dato luogo ad una fattispecie di overruling, in quanto preceduto da decisioni dello stesso segno, con conseguente inapplicabilità della regola per la quale mantiene validità l’atto processuale compiuto secondo le forme e i termini previsti dal diritto vivente al momento del suo compimento, in caso di successivo mutamento giurisprudenziale relativo a quelle forme ed a quei termini (Sent. n. 1370, Sez. II, del 21-1-2013).

 

Appello – Qualificazione del contratto impugnato non più come donazione, secondo quanto indicato nell’atto di citazione di primo grado, ma come negozio misto con donazione – Non è domanda nuova – Fondamento

(cod. proc. civ.: artt. 163 III co. n. 3, 345 I co.; cod. civ.: artt. 737, 769)

— In tema di giudizio d’appello, non costituisce domanda nuova, tale da comportare la declaratoria di inammissibilità, la qualificazione del contratto impugnato non più come donazione, secondo quanto indicato nell’atto di citazione di primo grado, ma come negozio misto con donazione, trattandosi di mera precisazione della domanda consentita in sede di gravame, in quanto ne conserva sostanzialmente intatto il fatto costitutivo originario e modifica solo quantitativamente, riducendolo, il petitum, senza peraltro incidere sulla sussistenza dell’obbligo di collazione ai sensi dell’art. 737 c.c. (Sent. n. 1861, Sez. II, del 28-1-2013).

 

Arbitrato – Decisione del giudice ordinario che affermi o neghi l’esistenza o la validità di un arbitrato irrituale

(cod. proc. civ.: artt. 42, 43, 806, 808 ter, 819 ter)

— In tema di arbitrato, la decisione del giudice ordinario, che affermi o neghi l’esistenza o la validità di un arbitrato irrituale, e che, dunque, nel primo caso non pronunci sulla controversia dichiarando che deve avere luogo l’arbitrato irrituale e nel secondo dichiari, invece, che la decisione del giudice ordinario può avere luogo, non è suscettibile di impugnazione con il regolamento di competenza, in quanto la pattuizione dell’arbitrato irrituale determina l’inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l’art. 819 ter c.p.c.) (Ord. n. 1158, Sez. VI, del 17-1-2013).

 

Arricchimento senza causa – Azione generale di arricchimento – Liquidazione dell’indennizzo – Criteri

(cod. civ.: artt. 1282, 2041)

— L’indennizzo ex art. 2041 c.c., in quanto credito di valore, va liquidato alla stregua dei valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia ed il giudice deve tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell’interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo. La somma così liquidata produce interessi compensativi, i quali sono diretti a coprire l’ulteriore pregiudizio subito dal creditore per il mancato e diverso godimento dei beni e dei servizi impiegati nell’opera, o per le erogazioni o gli esborsi che ha dovuto effettuare, e decorrono dalla data della perdita del godimento del bene o degli effettuati esborsi, coincidente con quella dell’arricchimento (Sent. n. 1889, Sez. III, del 28-1-2013).

 

Associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili d’impresa – Elemento differenziale

(cod. civ.: artt. 2094, 2549, 2552; Cost.: art. 35 I co.)

— In tema di contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato, l’elemento differenziale rispetto al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili d’impresa risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione da parte dell’associato, dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite. Pertanto, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell’associato nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale favor accordato dall’art. 35 Cost., che tutela il lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni» (Sent. n. 1817, Sez. lavoro, del 28-1-2013).

 

Azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario – Indicazione del numero di conto corrente sul quale sono stati effettuati i versamenti, della loro natura di pagamenti e del periodo sospetto da prendersi in considerazione

(R.D. 267/1942: art. 67; cod. civ.: art. 1852; cod. proc. civ.: art. 163 III co. nn. 3 e 4)

— In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario, l’indicazione del numero di conto corrente sul quale sono stati effettuati i versamenti, della loro natura di pagamenti e del periodo sospetto da prendersi in considerazione è idonea a rendere il convenuto in revocatoria edotto della pretesa azionata e ad escludere, pertanto, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto, non risultando necessaria, ai fini dell’individuazione del petitum e della causa petendi, anche la specificazione delle singole rimesse da prendere in considerazione, che la banca è in grado di individuare agevolmente, essendo in possesso di tutta la documentazione relativa alle operazioni effettuate dal correntista (Sent. n. 1802, Sez. I, del 28-1-2013).

 

Brevetto per invenzioni industriali – Contraffazione

(D.Lgs. 30/2005: art. 66)

— In tema di contraffazione di brevetto per invenzioni industriali, la protezione che abbia per oggetto il procedimento industriale si estende a tutti quei prodotti che ne siano effetto diretto, ovvero causalmente discendano dalla filiera relativa alle soluzioni tecniche brevettate; né rileva, al fine di escluderne la contraffazione, che il prodotto non sia stato rivendicato. La protezione non si estende, invece, a prodotti che, pur simili, siano ottenuti mediante un procedimento diverso da quello protetto. (Fattispecie relativa alla contraffazione di un brevetto per la produzione di compost, accertata con riguardo alle fasi centrali e caratterizzanti il «cuore» inventivo del procedimento brevettato, restando irrilevante la mancanza di una sola fase delle sei brevettate) (Sent. n. 622, Sez. I, dell’11-1-2013).

 

Brevetto per modello di utilità – Imitazione servile del prodotto di impresa concorrente

(cod. civ.: artt. 2043, 2592, 2598 n. 1, 2600, 2697)

— In tema di brevetto per modello di utilità, l’imitazione servile del prodotto di impresa concorrente può configurare atto di concorrenza sleale a prescindere dalla circostanza che il prodotto imitato costituisca oggetto di privativa; tuttavia, il danno cagionato dalla commercializzazione in tale ipotesi non è in re ipsa, ma, essendo conseguenza diversa ed ulteriore dell’illecito di violazione di privativa rispetto alla distorsione della concorrenza, richiede di essere provato secondo i principi generali che regolano le conseguenze del fatto illecito, solo tale avvenuta dimostrazione consentendo al giudice di passare alla liquidazione del danno (Sent. n. 1000, Sez. I, del 16-1-2013).

 

Competenza per territorio – Deroga convenzionale

(cod. proc. civ.: artt. 18, 19, 33)

— La deroga convenzionale alla competenza per territorio non opera nel caso di cumulo soggettivo di domande (Sent. n. 576, Sez. VI, dell’11-1-2013).

 

Comunione legale dei beni tra i coniugi – Controversie aventi ad oggetto la validità e l’efficacia dell’atto di acquisto o di vendita di un bene immobile compiuto da uno dei coniugi

(cod. civ.: artt. 177, 1470, 2901; cod. proc. civ.: art. 102)

— Qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto è litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto dominicale, mentre non può ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incide direttamente e immediatamente sulla validità ed efficacia del contratto. Pertanto, in riferimento all’azione revocatoria, esperita ai sensi dell’art. 2901 c.c., non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario, poiché detta azione non determina alcun effetto restitutorio né traslativo, ma comporta l’inefficacia relativa dell’atto rispetto al creditore, senza caducare, ad ogni altro effetto, l’atto di alienazione (Sent. n. 2082, Sez. III, del 29-1-2013).

 

Condominio – Assemblea – Deliberazione di approvazione delle spese divenuta inoppugnabile

(cod. civ.: artt. 1123, 1130 bis, 1188, 1453)

— In tema di condominio negli edifici, la deliberazione di approvazione delle spese, adottata dall’assemblea e divenuta inoppugnabile, fa sorgere l’obbligo dei condomini di pagare al condominio i contributi dovuti, rimanendo indipendenti l’obbligazione del singolo partecipante verso il condominio e le vicende delle partite debitorie del condominio verso i suoi creditori. Ne consegue che il condomino non può ritardare il pagamento delle rate di spesa, in attesa dell’evolversi delle relazioni contrattuali del condominio, così riversando sugli altri condomini gli oneri del proprio ritardo nell’adempimento, né può dedurre che il pagamento sia stato effettuato direttamente al terzo, in quanto ciò altererebbe la gestione complessiva del condominio, ma deve adempiere all’obbligazione verso quest’ultimo, salva l’insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito da rimborso nei confronti della gestione condominiale, ove residuino avanzi di cassa per mancati esborsi o per la risoluzione dei contratti precedentemente stipulati (Sent. n. 2049, Sez. II, del 29-1-2013).

 

Condominio – Assemblea – Rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato – Sono disciplinati, in difetto di norme particolari, dalle regole generali sul mandato – Conseguenza

(cod. civ.: artt. 1136, 1137, 1703 e segg.)

— In tema di condominio, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato debbono ritenersi disciplinati, in difetto di norme particolari, dalle regole generali sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante e quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far valere gli eventuali vizi della delega o la carenza del potere di rappresentanza, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto (Sent. n. 2218, Sez. II, del 30-1-2013).

 

Condominio – Diritto del proprietario del singolo piano di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto

(cod. civ.: artt. 900, 907)

— Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento), che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita (Sent. n. 955, Sez. II, del 16-1-2013).

 

Condominio – Innovazioni – Deliberazione dell’assemblea che autorizzi chi lo richieda all’uso del vano contenente la canna pattumiera allo scopo di alloggiarvi il contatore e la caldaia di produzione dell’acqua calda – Non vi rientra – Fondamento

(cod. civ.: artt. 1120, 1136 V co.)

— In tema di condominio negli edifici, non costituisce un’innovazione, ai sensi dell’art. 1120 c.c., soggetta perciò al requisito della maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 5, c.c., la deliberazione con la quale l’assemblea autorizzi chi lo richieda all’uso del vano contenente la canna pattumiera (peraltro, nella specie, già sigillata in esecuzione di precedente delibera) allo scopo di alloggiarvi il contatore e la caldaia di produzione dell’acqua calda, non prevedendo essa la realizzazione di opere da parte del condominio incidenti sull’essenza della cosa comune, in quanto idonee ad alterarne l’originaria funzione e destinazione ed a consentirne una diversa utilizzazione in favore di tutti i condomini (Sent. n. 945, Sez. II, del 16-1-2013).

 

Condominio – Regolamento – Definizione di decoro architettonico più rigorosa di quella ex art. 1120 II co. cod. civ. – Legittimità – Fondamento

(cod. civ.: artt. 1120 II co., 1138)

— Le norme di un regolamento di condominio — aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini, ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini — possono derogare od integrare la disciplina legale, consentendo l’autonomia privata di stipulare convenzioni che pongano nell’interesse comune limitazioni ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti condominiali, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle porzioni di loro esclusiva proprietà. Ne consegue che il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 c.c., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale aveva delibato la legittimità dell’immutazione del fabbricato oggetto di causa sulla base del solo art. 1120 c.c., senza soffermarsi sulla portata dei dedotti divieti regolamentari di alterazione del decoro dell’intero complesso) (Sent. n. 1748, Sez. II, del 24-1-2013).

 

Condominio – Uso della cosa comune – Ambito

(cod. civ.: art. 1102)

— L’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino, perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune, per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini (Sent. n. 944, Sez. II, del 16-1-2013).

 

Consulenza tecnica d’ufficio – Nullità – Ha carattere relativo – Conseguenza

(cod. proc. civ.: artt. 61, 157, 191, 194)

— La nullità della consulenza tecnica d’ufficio — ivi compresa quella dovuta all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente — ha carattere relativo e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata (Sent. n. 2251, Sez. III, del 31-1-2013).

 

Contratti agrari – Retratto agrario – Obbligo del retraente di versare esattamente il medesimo prezzo indicato nel contratto di vendita stipulato in violazione del diritto di prelazione

(L. 590/1965: art. 8; L. 2/1979; cod. civ.: artt. 1224, 1470)

— Nel caso di retratto agrario, il retraente è tenuto a versare esattamente il medesimo prezzo indicato nel contratto di vendita stipulato in violazione del diritto di prelazione, senza interessi e senza rivalutazione monetaria, a nulla rilevando né che la sentenza di accoglimento della domanda di riscatto sia intervenuta a distanza di tempo dalla vendita, né che il retraente sia rimasto nella detenzione del fondo senza pagare alcun corrispettivo (Sent. n. 1016, Sez. III, del 17-1-2013).

 

Contratto di trasferimento di una cosa determinata – Esecuzione specifica dell’obbligo di concluderlo – Offerta della prestazione corrispettiva – Deve essere caratterizzata da serietà e buona fede

(cod. civ.: artt. 1208, 1209, 1351, 1470, 2932 II co.)

— L’offerta della prestazione corrispettiva, cui l’art. 2932 c.c. subordina l’accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento di una cosa determinata, pur non dovendo essere necessariamente fatta nelle forme di cui agli artt. 1208 e 1209 c.c., non può, tuttavia, consistere in una mera dichiarazione di intenti, dovendo essere caratterizzata, in ogni caso, da serietà e buona fede. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva dedotto la mancanza di serietà dell’offerta della controprestazione dal constatato peggioramento delle condizioni economiche del promissario acquirente e dall’omessa prestazione della garanzia fideiussoria, come pattuita con il contratto preliminare) (Sent. n. 2217, Sez. II, del 30-1-2013).

 

Contratto d’opera tra una P.A. ed un professionista – Mancato accordo sulla misura del compenso

(cod. civ.: art. 2233)

— Il contratto d’opera tra una P.A. e un professionista non si perfeziona in caso di mancato accordo sulla misura del compenso, che è parte essenziale del programma contrattuale, né, in tal caso, l’accordo è integrabile ab externo, tramite determinazione giudiziale del corrispettivo (Sent. n. 484, Sez. II, del 10-1-2013).

 

Contratto preliminare di vendita immobiliare – Oggetto – Determinazione

(cod. civ.: artt. 1346, 1351, 1470, 2932; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— L’oggetto di un contratto preliminare di vendita immobiliare può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua conclusione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo su base negoziale, e non quando, invece, afferisca ad una pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., caso nel quale occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento; trattandosi di contratto per il quale è imposta la forma scritta, l’accertamento della presenza dei requisiti necessari per una sicura identificazione dell’oggetto del preliminare contratto è riservato al giudice di merito ed è soggetto al sindacato di legittimità solo sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva rigettato una domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare avente ad oggetto un lotto di terreno, del quale era ricavabile la sola superficie complessiva, genericamente descritta come parte di un mappale, ma non la sagoma e l’esatta collocazione dell’area, assumendosi perciò la carenza dei parametri di determinabilità del bene promesso in vendita) (Sent. n. 952, Sez. II, del 16-1-2013).

 

Contratto – Risoluzione per inadempimento – Effetto retroattivo

(cod. civ.: art. 1458; cod. proc. civ.: art. 112)

— La risoluzione del contratto, pur comportando, per l’effetto retroattivo sancito dall’art. 1458 c.c., l’obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell’altro contraente, atteso che rientra nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa (Sent. n. 2075, Sez. III, del 29-1-2013).

 

Contratto – Risoluzione per inadempimento – Mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti – Art. 1461 cod. civ. – È applicabile anche al contratto preliminare – Conseguenze

(cod. civ.: artt. 1351, 1461)

— L’art. 1461 c.c., il quale, basandosi sul principio inadimplenti non est adimplendum, consente ad un contraente di sospendere l’esecuzione della propria prestazione se ha il timore, dimostrato dalle peggiorate condizioni economiche dell’altra parte — ipotesi cui si può assimilare anche quella della conoscenza di una mutata situazione patrimoniale acquisita dopo la conclusione del contratto —, di non poter ottenere l’adempimento della controprestazione, è applicabile anche al contratto preliminare, e legittima pertanto il rifiuto della stipula del definitivo, pur se le prestazioni da adempiere contemporaneamente non sono ancora eseguibili, mentre la persistenza del pericolo di conseguire la prestazione, dopo la scadenza del termine di adempimento, legittima la richiesta di risoluzione del preliminare (Sent. n. 2217, Sez. II, del 30-1-2013).

 

Contratto – Simulazione – «Controdichiarazione» – Nozione

(cod. civ.: art. 1414)

— In tema di simulazione, la cosiddetta «controdichiarazione» costituisce atto di riconoscimento o di accertamento scritto, avente carattere negoziale, che non si inserisce come elemento essenziale nel procedimento simulatorio, potendo quindi non solo non essere coeva all’atto simulato, ma anche provenire dalla sola parte contro il cui interesse è redatta e che voglia manifestare il riconoscimento della simulazione (Sent. n. 2203, Sez. II, del 30-1-2013).

 

Contumacia – Giudizio concernente la correttezza della dichiarazione di contumacia in primo grado della parte ivi convenuta

(cod. proc. civ.: artt. 291, 327, 650)

— Ai fini del giudizio concernente la correttezza della dichiarazione di contumacia in primo grado della parte ivi convenuta, nessun rilievo assume la circostanza che quest’ultima, impugnando la sentenza conclusiva, non abbia affermato di non aver avuto tempestiva conoscenza della notifica della relativa citazione, né abbia specificato quando (o come) abbia appreso della vocatio in ius, dal momento che in una siffatta fattispecie non sono applicabili i principi operanti in materia di impugnazioni (od opposizioni a decreto ingiuntivo) tardive, per le quali si impone alla parte di dimostrare quando, rispetto alla scadenza del termine di preclusione, abbia avuto la conoscenza dell’atto, giustificandosi solo in quest’ultimo caso il maggior onere probatorio gravante sull’eccipiente, alla luce degli effetti che la valida notifica avrebbe rispetto ad un’impugnazione (o ad un’opposizione) per la quale i termini fossero già scaduti (Sent. n. 954, Sez. II, del 16-1-2013).

 

Diffamazione – Esimente dell’esercizio del diritto di critica – Relativa deduzione – Natura di eccezione in senso stretto – Esclusione – Fondamento

(cod. pen.: artt. 51 I co., 595; cod. proc. civ.: artt. 112, 115, 116)

— In materia di diffamazione, l’esimente dell’esercizio del diritto di critica non costituisce espressione di un diritto potestativo, da esercitare nel momento in cui viene proposta l’eccezione, ma integra un diritto sostanziale già esercitato. Ne consegue che la relativa deduzione non ha natura di eccezione in senso stretto e che il giudice civile, ove debba accertare la sussistenza del carattere diffamatorio di un fatto, è tenuto a rilevare tutte le circostanze che siano state allegate e provate, atteso che l’eventuale esistenza di un’esimente esclude il carattere diffamatorio del fatto (Sent. n. 2190, Sez. I, del 30-1-2013).

 

Diritto internazionale privato italiano – Domanda con cui il lavoratore chiede dichiararsi l’illegittimità del licenziamento e la reintegra nel posto di lavoro, in relazione ad un rapporto di lavoro che sia sorto all’estero, che all’estero abbia avuto esecuzione e ivi si sia risolto

(L. 218/1995: art. 57; L. 975/1984)

— Ai fini del diritto internazionale privato italiano, la domanda con la quale il lavoratore chiede dichiararsi l’illegittimità del licenziamento e la reintegra nel posto di lavoro, in relazione ad un rapporto di lavoro che sia sorto all’estero, che all’estero abbia avuto esecuzione e ivi si sia risolto, introduce una controversia relativa ad obbligazioni contrattuali ai sensi dell’art. 57 L. 31 maggio 1995 n. 218. Pertanto la legge applicabile a tale controversia deve essere individuata secondo le disposizioni della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, resa esecutiva con L. 18 dicembre 1984 n. 975 (Sent. n. 1302, Sez. lavoro, del 21-1-2013).

 

Divisione giudiziale – Beni in comunione provenienti da titoli diversi (eredità e condominio) – Pendenza di distinti processi di divisione tra gli stessi eredi o condomini – Rapporto di pregiudizialità – Configurabilità – Esclusione – Fondamento

(cod. proc. civ.: artt. 295, 784; cod. civ.: artt. 713, 1111)

— Non è ravvisabile un rapporto di pregiudizialità tra due processi di divisione, pendenti (in tutto o in parte) tra gli stessi eredi o condomini, ma riguardanti masse oggettivamente diverse, in quanto appartenenti a comunioni fondate su distinte situazioni giuridiche (Sent. n. 1739, Sez. II, del 24-1-2013).

 

Esecuzione forzata – Eccessività della somma portata nel precetto – Conseguenze

(cod. proc. civ.: artt. 480, 615)

— L’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero, ma dà luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente spettante, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito (Sent. n. 2160, Sez. lavoro, del 30-1-2013).

 

Espropriazione immobiliare – Detenzione di un immobile pignorato in forza di titolo non opponibile alla procedura esecutiva ex art. 2913 c.c.

(cod. civ.: artt. 1351, 1470, 2043, 2912, 2913; cod. proc. civ.: artt. 65, 559, 560)

— Nell’ipotesi di detenzione di un immobile pignorato in forza di titolo non opponibile alla procedura esecutiva ai sensi dell’art. 2913 c.c. (nella specie, preliminare di vendita successivo alla trascrizione del pignoramento del bene), è configurabile, in favore del custode giudiziario autorizzato ad agire in giudizio — quale organo pubblico della procedura esecutiva, ausiliare del giudice —, un danno risarcibile che deriva dall’impossibilità di una proficua utilizzazione del bene pignorato e dalla difficoltà a che il bene sia venduto, quanto prima, al suo effettivo valore di mercato; risarcimento sul quale si estende il pignoramento, quale frutto, ex art. 2912 c.c. (Sent. n. 924, Sez. III, del 16-1-2013).

 

Espropriazione per pubblica utilità – Occupazione acquisitiva in assenza di emissione del decreto ablatorio – Espropriante che proceda alla determinazione dell’indennità di esproprio ovvero all’offerta o al deposito di essa

(D.P.R. 327/2001; cod. civ.: artt. 2043, 2944)

— In tema di espropriazione per pubblica utilità, nell’ipotesi in cui, verificatasi l’occupazione acquisitiva in assenza di emissione del decreto ablatorio, l’espropriante proceda tuttavia alla determinazione dell’indennità di esproprio, ovvero all’offerta o al deposito di essa, gli atti ora menzionati, rivestendo natura tipica (e non meramente interna) e costituendo in ogni caso il riconoscimento del diritto dell’ex proprietario ad un ristoro patrimoniale, costituiscono atti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del diritto dominicale (Sent. n. 923, Sez. III, del 16-1-2013).

 

Fallimento – Accertamento del passivo – Fase di verifica dei crediti

(R.D. 267/1942: art. 98; cod. civ.: art. 2901)

— In tema di accertamento del passivo nel fallimento, nella fase di verifica dei crediti non è necessario, per escludere il credito o la garanzia, che venga formalmente proposta dal curatore l’azione revocatoria (nella specie, ordinaria), perché la legge consente al giudice delegato l’indicata esclusione sulla semplice contestazione del curatore medesimo, né quest’ultimo è tenuto a proporre, in via riconvenzionale, tale azione nel giudizio promosso dal creditore ai sensi dell’art. 98 legge fall., potendo la revocabilità dell’atto, che postula un accertamento costitutivo nel quale l’intervento del giudice non ha carattere necessario, farsi valere anche in via di eccezione (Sent. n. 1533, Sez. I, del 23-1-2013).

 

Fallimento – Azione revocatoria del mandato rilasciato dal correntista alla banca per l’incasso di un credito, attraverso il quale l’istituto abbia inteso garantirsi il rientro anche di futuri finanziamenti

(R.D. 267/1942: art. 67 I co. n. 2; cod. civ.: art. 1703)

— In tema di revocatoria ex art. 67, comma 1, n. 2, legge fall. del mandato rilasciato dal correntista alla banca per l’incasso di un credito, attraverso il quale l’istituto abbia inteso garantirsi il rientro anche di futuri finanziamenti, l’effetto solutorio derivante dalla riscossione del credito si realizza comunque entro il limite dello scoperto di conto (eventualmente comprensivo dei crediti della banca per i finanziamenti medio tempore erogati) esistente alla data di accredito della relativa rimessa, mentre non può estendersi ai crediti aventi titolo in finanziamenti successivi, posto che, una volta ripianato lo scoperto, non esiste più alcun debito del correntista da estinguere e la parte della somma riscossa eccedente lo scoperto non viene trattenuta dalla banca ad imputazione dei futuri crediti (da finanziamento) non ancora sorti, ma viene posta nella piena disponibilità del correntista (Sent. n. 1528, Sez. I, del 23-1-2013).

 

Fallimento – Iniziativa per la dichiarazione di fallimento

(R.D. 267/1942: art. 6)

— In tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Sent. n. 1521, Sez. Unite, del 23-1-2013).

 

Fallimento – Provvedimento del giudice delegato che conceda al curatore l’autorizzazione all’affitto dell’azienda della fallita

(R.D. 267/1942: art. 26; Cost.: art. 111 VII co.)

— Il provvedimento del giudice delegato, che conceda al curatore l’autorizzazione all’affitto dell’azienda della fallita, è espressione del potere ordinatorio di quel giudice, in virtù del quale questi esercita le funzioni di direzione connesse all’amministrazione e gestione dei beni acquisiti al fallimento, e, perciò, dà luogo ad un atto privo dei caratteri di definitività e di decisorietà, avverso il quale è proponibile il reclamo al tribunale ai sensi dell’art. 26 legge fall., mentre è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto che decide sul reclamo, anch’esso non diretto a risolvere controversie su diritti, ma afferente alle funzioni di controllo sull’esercizio di poteri gestori e sulle eventuali misure integrative adottate dal giudice delegato, come tale dunque privo dei caratteri di decisorietà e definitività (Sent. n. 1240, Sez. I, del 18-1-2013).

 

Ipoteca – Iscrizione – Estensione del privilegio ipotecario agli interessi maturati dopo la scadenza dell’annualità in corso al momento del pignoramento

(cod. civ.: artt. 1284, 2788, 2855 II e III co.)

— Il diritto di privilegio scaturente dall’ipoteca si estende agli interessi maturati dopo la scadenza dell’annualità in corso al momento del pignoramento, ma solo nella misura pari al saggio legale di cui all’art. 1284 c.c., e non al diverso saggio d’interesse eventualmente stabilito dalla legge che disciplina il singolo credito (Sent. n. 775, Sez. III, del 15-1-2013).

 

Ipoteca – Iscrizione per un capitale – Estensione del privilegio ipotecario agli interessi

(cod. civ.: artt. 820 III co., 2855 II e III co.)

— In caso di iscrizione di ipoteca per un capitale, l’estensione del privilegio ipotecario agli interessi, secondo le condizioni indicate dall’art. 2855, commi 2 e 3, c.c., è limitata ai soli interessi corrispettivi, con conseguente esclusione di quelli moratori, dovendosi ritenere l’espressione «capitale che produce interessi» circoscritto ai soli interessi che costituiscono remunerazione del capitale medesimo, senza che, neppure in via analogica, possano ritenersi in essi inclusi quegli interessi che trovano il loro presupposto nel ritardo imputabile al debitore (Sent. n. 775, Sez. III, del 15-1-2013).

 

Irpef – Titolare di un conto corrente bancario – Si presume, ai fini fiscali, possessore dei redditi rappresentati dalle somme ivi versate

(D.P.R. 600/1973: art. 37; D.P.R. 917/1986: art. 1)

— Il titolare di un conto corrente bancario si presume, ai fini fiscali, possessore dei redditi rappresentati dalle somme ivi versate, a nulla rilevando che quelle somme siano di fatto nella disponibilità di un terzo (nella specie, il coniuge del correntista) in virtù di un accordo tra i due che, in quanto costituente un’interposizione reale, è inopponibile ai terzi, ivi compreso l’erario (Sent. n. 433, Sez. trib., del 10-1-2013).

 

Lavoro subordinato – Tutela delle condizioni di lavoro – Art. 2087 cod. civ. – Non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro – Fondamento e conseguenze

(cod. civ.: artt. 2087, 2697)

— L’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subìto, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi. Né la riconosciuta dipendenza delle malattie da una «causa di servizio» implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante dell’ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall’ambito dell’art. 2087 c.c., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici. (Nella specie, in sede di merito era stata accertata la dipendenza da causa di servizio di talune infermità contratte da un dipendente, e lo stesso aveva successivamente invocato la responsabilità risarcitoria del datore per mobbing in relazione alle medesime patologie; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva respinto per difetto di prova la domanda, ed ha affermato il principio su esteso) (Sent. n. 2038, Sez. lavoro, del 29-1-2013).

 

Licenziamento collettivo – Onere di comunicazione dei motivi al singolo lavoratore che ne faccia richiesta – Esclusione – Fondamento

(L. 223/1991: art. 4; L. 604/1966: art. 2 II co.; cod. proc. civ.: artt. 210, 213)

— In tema di licenziamenti collettivi, la disciplina dettata dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 prevede un’articolata procedimentalizzazione dei licenziamenti per riduzione di personale, che ricomprende gli adempimenti informativi (relativi, tra l’altro, ai nominativi ed ai requisiti dei lavoratori licenziati, ed alle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta) previsti nei confronti delle sole associazioni sindacali di categoria e della P.A.; ne consegue che, per la compiutezza e autosufficienza del meccanismo descritto, deve escludersi l’applicazione analogica, alla materia dei licenziamenti collettivi, dell’onere di comunicazione dei motivi, ai sensi dell’art. 2 legge n. 604 del 1966, al singolo lavoratore che ne faccia richiesta, mentre questi, quando non sia aderente alle organizzazioni sindacali, può ottenere tali informazioni quanto meno dagli uffici pubblici destinatari della comunicazione e, ove essi non vi provvedano, attraverso l’ordine del giudice emesso ex artt. 210 e 213 c.p.c. nel corso del processo, senza che, pertanto, ne resti leso il diritto del singolo lavoratore di non aderire ad associazioni sindacali (Sent. n. 1315, Sez. lavoro, del 21-1-2013).

 

Licenziamento collettivo – Procedura per la dichiarazione di mobilità – Comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento

(L. 223/1991: art. 4)

— In tema di licenziamenti collettivi, la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento deve compiutamente adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dall’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, in maniera tale da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. L’inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art. 4, determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell’art. 4, comma 12. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che l’omessa indicazione nella comunicazione di avvio della procedura del piano di incentivo all’esodo cui la società aveva già dato corso, e per il quale erano state raggiunte numerose intese con i lavoratori, aveva viziato, per incompletezza e inadeguatezza della comunicazione, la procedura medesima e il successivo licenziamento) (Sent. n. 880, Sez. lavoro, del 16-1-2013).

 

Licenziamento per giusta causa – Comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata – Quando possono costituire giusta causa di licenziamento

(cod. civ.: art. 2119)

— I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei perciò all’esecuzione della prestazione lavorativa, se, in genere, sono irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento allorché siano di natura tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro nel corretto espletamento del rapporto, in relazione alle modalità concrete del fatto e ad ogni altra circostanza rilevante in relazione alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso. (Nella specie, il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente postale che aveva patteggiato una pena per il reato di violenza sessuale, attribuendo rilevanza al «forte disvalore sociale» dei fatti e all’eco avutane nella stampa, nonché alla posizione del dipendente, quale coordinatore di circa trenta unità addette al recapito, in ragione della responsabilità e preminenza rispetto ai componenti della squadra, attribuendo rilievo al fatto che le condotte poste in essere fossero connotate da un «abuso delle funzioni di guida e responsabilità connesse alla veste di capo della comunità religiosa») (Sent. n. 2168, Sez. lavoro, del 30-1-2013).

 

Locazione di immobili adibiti ad uso abitativo – Disdetta del contratto da parte del locatore

(L. 431/1998: art. 3)

— In tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, l’art. 3 L. 9 dicembre 1998 n. 431 conferisce al locatore la facoltà di diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza soltanto in presenza di motivi tassativamente indicati dalla stessa norma, senza che sia richiesto che tale facoltà di diniego di rinnovo venga prevista nel contratto e senza che perciò rilevi come rinuncia implicita la mancata menzione in esso di detta facoltà di disdetta (Sent. n. 936, Sez. III, del 16-1-2013).

— In tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, nella comunicazione del locatore del diniego di rinnovo del contratto, ai sensi dell’art. 3 L. 9 dicembre 1998 n. 431, deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati dalla stessa norma, sul quale la disdetta è fondata, in modo da consentire, in caso di controversia, la verifica ex ante della serietà e della realizzabilità dell’intenzione dedotta in giudizio e, comunque, il controllo, dopo l’avvenuto rilascio, circa l’effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato nell’ipotesi in cui il conduttore estromesso reclami l’applicazione delle sanzioni ivi previste a carico del locatore. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto correttamente esercitata dalla locatrice la facoltà di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza, avendo fatto legittimo riferimento nella lettera di disdetta all’intenzione di adibire l’immobile ad abitazione di un proprio figlio o nipote, e dovendosi considerare ultronea la successiva individuazione tra questi del reale beneficiario operata solo con l’atto introduttivo del giudizio) (Sent. n. 936, Sez. III, del 16-1-2013).

 

Locazione di immobili adibiti ad uso abitativo – Termine per il pagamento dei canoni scaduti – Sanatoria della morosità del conduttore

(L. 392/1978: art. 55)

— La sanatoria della morosità del conduttore prevista dall’art. 55 L. 27 luglio 1978 n. 392 è subordinata al pagamento integrale dei canoni, degli interessi e delle spese, senza che l’inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità (Sent. n. 920, Sez. III, del 16-1-2013).

 

Marchio complesso – Nozione e distinzione tra marchio forte e marchio debole

(D.Lgs. 30/2005: artt. 7 e segg.)

— Il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile, non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento. Quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest’ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato debole, tale seconda fattispecie differenziandosi, peraltro, dal marchio di insieme in ragione del fatto che i segni costitutivi di quest’ultimo sono privi di un’autonoma capacità distintiva, essendolo solo la loro combinazione (Sent. n. 1249, Sez. I, del 18-1-2013).

 

Obbligazioni – Adempimento del terzo – Rifiuto del creditore in presenza di opposizione del debitore – Non deve essere contrario a buona fede e correttezza

(cod. civ.: artt. 1175, 1180 II co., 1375)

— Ai sensi dell’art. 1180, comma 2, c.c., il rifiuto del creditore all’adempimento da parte del terzo, in presenza di opposizione del debitore (la quale deve essere, a sua volta, dettata da situazioni giuridiche legittimamente tutelabili e deve ispirarsi all’osservanza del principio generale di cui all’art. 1175 c.c.), non deve essere contrario a buona fede e correttezza; ne deriva che il giudice è abilitato a sindacare detta contrarietà ogni qualvolta il terzo alleghi e deduca in giudizio l’esercizio abusivo del rifiuto da parte del creditore (anche in relazione alla legittimità delle ragioni dedotte dal debitore a fondamento della manifestata opposizione), che abbia così impedito allo stesso terzo — legittimato ed interessato a soddisfare il credito per i rapporti intercorrenti con il debitore, di cui il creditore sia stato reso edotto — di pagare in sostituzione del debitore estinguendo l’obbligazione, in funzione della legittima tutela di propri eventuali diritti (Sent. n. 2207, Sez. II, del 30-1-2013).

 

Obbligazioni – Adempimento – Imputazione del pagamento

(cod. civ.: artt. 1193, 1195)

— In tema di imputazione del pagamento, quando il debitore non si avvalga della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta, come desumibile dall’art. 1195 c.c., spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, subentrando i criteri legali di cui all’art. 1193 c.c., che hanno carattere suppletivo, solo quando né il debitore, né il creditore abbiano effettuato l’imputazione. La dichiarazione di imputazione del creditore deve però essere accettata dal debitore e, qualora sia inserita nello stesso documento contenente la quietanza, la ricezione del documento da parte del debitore si riferisce solo alla quietanza in esso contenuta e soddisfa il suo interesse a conservare la prova documentale dell’avvenuto pagamento, ma non presuppone un accordo sull’imputazione; perché la ricezione del documento assuma valore di prova dell’accettazione dell’imputazione operata dal creditore è necessario, difatti, che da parte del debitore essa non venga immediatamente o prontamente contestata, atteso che la mancata tempestiva contestazione assume il valore dell’acquiescenza (Sent. n. 917, Sez. III, del 16-1-2013).

 

Obbligazioni pecuniarie – Adempimento – Mora del creditore – Pubblico ufficiale incaricato di eseguire l’offerta reale di adempimento – Procura scritta conferita dall’offerente – Necessità – Esclusione

(cod. civ.: artt. 1209 I co., 1392)

— Il pubblico ufficiale incaricato di eseguire l’offerta reale di adempimento di un’obbligazione pecuniaria, ai sensi dell’art. 1209 c.c., non ha alcun obbligo di munirsi di una procura scritta conferita dall’offerente (Sent. n. 1016, Sez. III, del 17-1-2013).

 

Possesso – Azione di reintegrazione – Termine utile per proporla e correlata individuazione dell’oggetto del possesso di una servitù di scarico fognario

(cod. civ.: artt. 1043, 1045, 1168)

— Ai fini della tempestività dell’azione di reintegrazione entro l’anno dal sofferto spoglio e della correlata individuazione dell’oggetto del possesso di una servitù di scarico fognario, non può tenersi distinta dal restante impianto la fossa biologica, la quale, avendo la funzione di raccogliere le acque piovane e quelle provenienti dai servizi igienici, non è dissociabile dalla rete dei canali e fa parte di un bene composto (c.d. fognatura), nel quale la pluralità dei componenti, per effetto della connessione fisica e funzionale, assume una nuova individualità, perdendo quella propria. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva dichiarato la decadenza dei ricorrenti dall’azione di reintegrazione per decorso del termine annuale, avendo riguardo all’epoca dell’interruzione di uno scarico compreso nell’intero sistema fognario, e non all’autonomo possesso di una fossa biologica e del relativo alloggiamento) (Sent. n. 1494, Sez. II, del 22-1-2013).

 

Possesso – Azioni possessorie – Privazione anche soltanto parziale del possesso – È uno spoglio, e non una molestia

(cod. civ.: artt. 1043, 1168, 1170)

— In tema di azioni possessorie, integra gli estremi di uno spoglio, e non quelli di una semplice molestia, la privazione anche soltanto parziale del possesso, la quale può manifestarsi con un atto che restringa o riduca le facoltà inerenti il potere esercitato sull’intera cosa, oppure diminuisca o renda meno comodo l’esercizio del possesso medesimo, come nell’ipotesi di eliminazione di una conduttura e di procurata inutilizzabilità di una fossa biologica, facente parte di una fognatura, tale da incidere negativamente sulla possibilità di esercizio di una servitù di scarico (Sent. n. 1494, Sez. II, del 22-1-2013).

 

Procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto – Contravvenzione al divieto del giudice

(cod. proc. civ.: artt. 669 bis e segg., 691)

— L’art. 691 c.p.c., in tema di inosservanza del provvedimento del giudice, riguarda la sola disciplina dei procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto, e non è pertanto applicabile in ipotesi di mancata esecuzione di un’ordinanza di reintegrazione nel possesso, richiamandosi, per i procedimenti possessori, le norme di cui agli artt. 669 bis e ss. c.p.c. nei limiti della compatibilità (Sent. n. 950, Sez. II, del 16-1-2013).

 

Processo civile – Prove raccolte in un processo penale – Valutazione

(cod. proc. civ.: artt. 115, 116; cod. proc. pen.: art. 444)

— Il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente (come nella specie), le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale è stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p., potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Sent. n. 2168, Sez. lavoro, del 30-1-2013).

 

Processo di esecuzione – Opposizione agli atti esecutivi – Atto che introduce il giudizio di merito sull’opposizione

(cod. proc. civ.: artt. 615, 618 II co.)

— In tema di giudizio di opposizione agli atti esecutivi, l’atto che introduce il giudizio di merito sull’opposizione, ai sensi dell’art. 618, comma 2, c.p.c., deve contenere motivi di opposizione coincidenti con quelli proposti col ricorso introduttivo della fase dinanzi al giudice dell’esecuzione, ma è in facoltà dell’opponente — ove abbia, col ricorso davanti al giudice dell’esecuzione, proposto più di un motivo di opposizione — rinunciare ad uno o più degli originari motivi, riproponendo nell’atto introduttivo del giudizio di merito sull’opposizione soltanto uno o taluno di questi. In tale eventualità, il giudizio di merito sarà limitato soltanto ai motivi di opposizione agli atti esecutivi così riproposti (Ord. n. 1012, Sez. VI, del 16-1-2013).

 

Processo – Estinzione per mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio stabilito dal giudice ex art. 102 II co. cod. proc. civ. – Presupposto

(cod. proc. civ.: artt. 102 II co., 307)

— L’estinzione del processo, per mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio stabilito dal giudice a norma dell’art. 102, comma 2, c.p.c., postula la legittimità del relativo ordine, e, pertanto, va esclusa, ove quest’ultimo venga revocato nel prosieguo del giudizio per difetto dei suoi presupposti (Sent. n. 1739, Sez. II, del 24-1-2013).

 

Processo – Interruzione – Morte o perdita della capacità processuale della parte costituita

(cod. proc. civ.: artt. 300 II co., 305)

— La morte o la perdita della capacità processuale della parte costituita, dichiarata in udienza o notificata alle altre parti dal suo procuratore, produce, ai sensi dell’art. 300, comma 2, c.p.c., l’effetto automatico dell’interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione o notificazione, ed il conseguente termine per la riassunzione, come previsto in generale dall’art. 305 c.p.c., decorre dal momento della dichiarazione o della notificazione dell’evento alle altre parti, senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato o conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell’intervenuta interruzione (Sent. n. 773, Sez. III, del 15-1-2013).

 

Processo – Mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni – Conseguenze

(cod. proc. civ.: artt. 34, 115 I co., 189)

— La mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l’abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa; tuttavia, in caso di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le domande sussiste la presunzione di persistenza della domanda pregiudiziale non reiterata, salvo che la parte interessata espressamente non vi rinunci e sempre che non sia necessario, per legge, decidere la questione pregiudiziale con efficacia di giudicato (Sent. n. 2093, Sez. III, del 29-1-2013).

 

Processo tributario – Impugnazione incidentale tempestivamente proposta – Non è legata alle sorti di quella principale

(D.Lgs. 546/1992)

— Nel processo tributario l’impugnazione incidentale, purché tempestivamente proposta, non è legata alle sorti di quella principale, di cui non costituisce il necessario contrapposto, ma ha una propria autonomia che la rende indipendente dalle sorti della prima; pertanto, anche se l’impugnazione proposta dal contribuente viene dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale dell’ufficio, che sia stata tempestivamente proposta, non è travolta e deve essere esaminata nel merito dalla commissione tributaria regionale investita dal gravame (Sent. n. 465, Sez. trib., del 10-1-2013).

 

Processo tributario – Replica all’eccezione di decadenza assumendo di avere tempestivamente compiuto l’atto necessario ad evitarla – Natura – Mera difesa

(D.Lgs. 546/1992: art. 58)

— Chi, replicando ad un’eccezione di decadenza, assuma di avere tempestivamente compiuto l’atto necessario ad evitarla, non solleva un’eccezione in senso stretto, ma svolge una mera difesa, come tale proponibile per la prima volta anche in appello, fermo restando che l’onere della relativa prova deve essere assolto nel rispetto delle preclusioni processuali (Sent. n. 414, Sez. trib., del 10-1-2013).

 

Processo – Violazione del termine di ragionevole durata – Domanda di equa riparazione – Condizione di proponibilità

(L. 89/2001: art. 4; cod. proc. civ.: art. 325)

— Ai fini della condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione, prevista dall’art. 4 L. 24 marzo 2001 n. 89, sussiste la pendenza del procedimento, nel cui ambito la violazione del termine di durata ragionevole si assume verificata, allorché sia stata emessa la relativa sentenza di primo grado e non sia ancora decorso il termine lungo per la proposizione dell’impugnazione, spettando, comunque, all’amministrazione convenuta comprovare la tardività della domanda in relazione all’acquisito carattere di definitività del provvedimento conclusivo del giudizio nel quale si è verificata la violazione del termine ragionevole di durata, a seguito dello spirare, in conseguenza della notificazione, del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (Sent. n. 841, Sez. VI, del 15-1-2013).

 

Proprietà – Actio negatoria servitutis – Quando dà luogo a litisconsorzio necessario passivo

(cod. civ.: artt. 949, 1117; cod. proc. civ.: art. 102)

— L’actio negatoria servitutis dà luogo a litisconsorzio necessario passivo solo se, appartenendo il fondo servente pro indiviso a più proprietari, sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune, laddove la possibilità che la modifica o la demolizione della res di proprietà del solo convenuto incida, in sede esecutiva, sulla sfera giuridica di soggetti terzi, richiedendone la necessaria cooperazione, non impone l’integrazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi. Ne consegue che non sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i partecipanti al condominio in ordine alla domanda proposta da un condomino al fine di ottenere la rimozione dal proprio appartamento delle tubazioni di scarico delle acque provenienti dalla soprastante unità abitativa di proprietà individuale (Ord. n. 2170, Sez. VI, del 30-1-2013).

 

Proprietà – Azione di rivendicazione – Fattispecie

(cod. civ.: artt. 948, 1168, 2043, 2058)

— La domanda con cui l’attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto, non dà luogo ad un’azione personale di restituzione, e deve qualificarsi come azione di rivendicazione; né può ritenersi che detta domanda sia qualificabile come di reintegrazione, in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all’attore prima del verificarsi dell’abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare, al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dal nostro ordinamento, un’azione di spoglio ormai impraticabile (Sent. n. 705, Sez. II, del 14-1-2013).

 

Proprietà – Luci – Apertura sul fondo del vicino che non abbia caratteri di veduta o di prospetto – Vi rientra – Conseguenza

(cod. civ.: artt. 901, 902 II co.)

— L’apertura sul fondo del vicino, la quale non abbia caratteri di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare, è considerata come luce, anche se non conforme alle prescrizioni dell’art. 901 c.c., sicché, nell’ipotesi di irregolarità, ai sensi dell’art. 902, comma 2, c.c. il vicino ha diritto di esigere che l’apertura sia resa conforme a tali prescrizioni, anche mediante la sopraelevazione all’altezza minima interna, finalizzata ad impedire l’esercizio della veduta (Sent. n. 512, Sez. II, del 10-1-2013).

 

Prova testimoniale – Incapacità a testimoniare – Lavoratore dipendente di una parte in causa – Non è, per ciò solo, incapace di testimoniare – Fondamento

(cod. proc. civ.: art. 246)

— L’interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, a norma dell’art. 246 c.p.c., è l’interesse giuridico, personale, concreto, che legittima l’azione o l’intervento in giudizio, sicché il lavoratore dipendente di una parte in causa non è, per ciò solo, incapace di testimoniare, né può ritenersi, per questa sola ragione, scarsamente attendibile (Sent. n. 2075, Sez. III, del 29-1-2013).

 

Prova testimoniale – Incapacità a testimoniare – Non può essere denunciata, per la prima volta, in sede di legittimità – Fondamento

(cod. proc. civ.: artt. 246, 360)

— L’incapacità a testimoniare deve essere eccepita dalla parte interessata nell’immediatezza dell’assunzione della prova, non trattandosi di nullità rilevabile d’ufficio, sicché essa non può essere denunciata, per la prima volta, in sede di legittimità (Sent. n. 2075, Sez. III, del 29-1-2013).

 

Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Danni cagionati dall’omessa manutenzione, da parte di un consorzio turistico residenziale, degli impianti compresi nell’area consortile

(cod. civ.: art. 2051)

— Un consorzio turistico residenziale è custode degli impianti compresi nell’area consortile, la cui realizzazione sia pertinente allo scopo della sua attività (nella specie: impianti di canalizzazione elettrica e rete fognaria), per cui esso risponde, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei danni cagionati dall’omessa manutenzione degli stessi (Sent. n. 1026, Sez. III, del 17-1-2013).

 

Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose – Nozione di attività pericolose

(cod. civ.: art. 2050)

— Costituiscono attività pericolose, ai sensi dell’art. 2050 c.c., non solo le attività che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche quelle che comportino la rilevante probabilità del verificarsi del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi usati, sia nel caso di danno che sia conseguenza di un’azione, sia nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell’attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza. Ne consegue che l’attività di scavo propedeutica all’impianto di un vigneto, che comporti la realizzazione di solchi di circa 60 centimetri e la costruzione di un muro di recinzione che necessita di uno scavo profondo circa un metro, non possono essere considerate pericolose ai fini di detta norma (Sent. n. 919, Sez. III, del 16-1-2013).

 

Responsabilità precontrattuale della P.A. – Casi in cui è configurabile

(cod. civ.: artt. 1337, 2043)

— La responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l’ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch’esso è tenuto, nell’ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall’art. 2043 c.c.; in particolare, se non è ipotizzabile una responsabilità precontrattuale, per violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. rispetto al procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, essa è ammissibile con riguardo alla fase successiva alla scelta, in cui il recesso dalle trattative dell’ente è sindacabile sotto il profilo della violazione del dovere del neminem laedere, ove lo stesso sia venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all’affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto. Spetta al giudice di merito accertare se il comportamento della P.A. abbia ingenerato nei terzi, anche per mera colpa, un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto. (La S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato la sentenza di merito, la quale, pur avendo ritenuto che le trattative intercorse tra le parti, in relazione ad un pubblico avviso di ricerca di un immobile da destinare a sede di uffici regionali, fossero state in grado di ingenerare, nell’unico soggetto che aveva risposto a quell’avviso, un ragionevole affidamento circa la conclusione dell’accordo, aveva poi affermato che il recesso della P.A. risultasse sorretto da un giustificato motivo, costituito dalla presentazione di una successiva proposta tardiva da parte di un terzo, tale da indurre l’acquirente ad un repentino generale ripensamento sull’idoneità dell’immobile offerto per primo, sulla base di elementi, peraltro, non sopravvenuti, ma già intrinseci alla stessa richiesta formulata con l’avviso pubblico) (Sent. n. 477, Sez. II, del 10-1-2013).

 

Responsabilità solidale – Fattispecie

(cod. civ.: art. 2055)

— L’illegittima trasmissione della medesima opera cinematografica da parte di più emittenti televisive, cui era stata trasferita senza la concessione di tale diritto, determina una responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. in capo a tutte le emittenti che hanno posto in essere la condotta (Sent. n. 1247, Sez. I, del 18-1-2013).

 

Ricorso per cassazione – Atto di rinuncia non notificato alle parti costituite e non comunicato agli avvocati delle stesse per l’apposizione del visto – Idoneità a determinare l’estinzione del processo – Esclusione – Inammissibilità del ricorso – Sussistenza – Fondamento e limite

(cod. proc. civ.: artt. 100, 306, 390 III co.)

— L’atto di rinuncia al ricorso per cassazione, in assenza dei requisiti di cui all’art. 390, ultimo comma, c.p.c. (notifica alle parti costituite o comunicazione agli avvocati delle stesse per l’apposizione del visto), sebbene non idoneo a determinare l’estinzione del processo, denota il venire meno definitivo di ogni interesse alla decisione e, comporta, pertanto, l’inammissibilità del ricorso, salvo che la controparte manifesti la volontà di ottenere, comunque, la pronuncia sull’oggetto del contendere (Sent. n. 2259, Sez. III, del 31-1-2013).

 

Ricorso per cassazione avverso la mancata ammissione di una prova richiesta dalla controparte

(cod. proc. civ.: artt. 100, 233, 360)

— Il soccombente non ha interesse a ricorrere per cassazione avverso la mancata ammissione di una prova richiesta dalla controparte (nella specie, giuramento decisorio) (Sent. n. 714, Sez. I, del 14-1-2013).

 

Ricorso per cassazione – Indicazione dei motivi e delle norme di diritto – Omessa trattazione di una determinata questione giuridica nella sentenza impugnata – Deducibilità in sede di legittimità – Oneri del ricorrente

(cod. proc. civ.: artt. 360, 366 I co. n. 4)

— In tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica — che implichi accertamenti di fatto — non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Sent. n. 1435, Sez. trib., del 22-1-2013).

 

Ricorso per cassazione – Motivi – Corretta menzione dell’ipotesi appropriata – Condizione necessaria – Esclusione – Conseguenza

(cod. proc. civ.: art. 360 I co. nn. 3 e 4)

— Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorché la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anziché sotto il profilo dell’error in procedendo, di cui al numero 4 del citato art. 360 (Sent. n. 1370, Sez. II, del 21-1-2013).

 

Ricorso per cassazione – Motivi – Errore causato da inesatta determinazione dei presupposti numerici di un’operazione

(cod. proc. civ.: artt. 132 II co. nn. 4 e 5, 287 e segg., 360 I co. n. 5)

— L’errore causato da inesatta determinazione dei presupposti numerici di un’operazione è deducibile in sede di legittimità, in quanto si risolve in un vizio logico della motivazione, a differenza dell’errore materiale di calcolo risultante dal confronto tra motivazione e dispositivo, il quale è suscettibile di correzione con la procedura di cui agli artt. 287 ss. c.p.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto impugnabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., la sentenza che, dopo avere affermato, nella motivazione, che la vittima di un fatto illecito aveva concorso nella misura del 50% a concausare il danno, nel dispositivo aveva condannato il responsabile a risarcirle integralmente il danno) (Sent. n. 795, Sez. III, del 15-1-2013).

 

Ricorso per cassazione – Motivo generico – Fattispecie in tema di affidamento del figlio naturale

(cod. proc. civ.: artt. 342, 360; cod. civ.: art. 155 bis)

— In tema di affidamento del figlio naturale, è generico, e quindi inammissibile, il motivo di ricorso per cassazione che, denunciando violazione degli artt. 342 c.p.c. e 155 bis c.c., censuri la statuizione di inammissibilità di un motivo di appello laddove, alla base della doglianza volta a censurare la decisione circa l’affidamento, non siano poste certezze scientifiche, dati di esperienza o l’indicazione di specifiche ripercussioni negative sul piano educativo e della crescita del minore, derivanti dall’inserimento del medesimo in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, atteso che l’asserita dannosità di tale inserimento va dimostrata in concreto e non può essere fondata sul mero pregiudizio (Sent. n. 601, Sez. I, dell’11-1-2013).

 

Risarcimento del danno non patrimoniale derivato dalla morte del coniuge separato legalmente – Criteri di necessità

(cod. civ.: artt. 150, 2059)

— Il risarcimento del danno non patrimoniale può essere accordato al coniuge, ancorché separato legalmente, purché si accerti che l’altrui fatto illecito (nella specie, il sinistro stradale causa del decesso) abbia provocato quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona cara: è, tuttavia, necessario a tal fine dimostrare che, nonostante la separazione, sussistesse ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso (nella specie, congruamente individuato dalla Corte di merito nella presenza di un figlio in comune e nel breve lasso di tempo — un mese — trascorso dalla separazione) (Sent. n. 1025, Sez. III, del 17-1-2013).

 

Risarcimento del danno patrimoniale – Lesione della capacità lavorativa generica – È un danno patrimoniale che non è necessariamente ricompreso nel danno biologico

(cod. civ.: artt. 2043, 2056)

— La lesione della capacità lavorativa generica, consistente nell’idoneità a svolgere un lavoro anche diverso dal proprio, ma confacente alle proprie attitudini, costituisce un danno patrimoniale, che non è affatto necessariamente ricompreso nel danno biologico, e la cui sussistenza deve essere accertata caso per caso dal giudice di merito, il quale non può escluderlo per il solo fatto che le lesioni patite dalla vittima non abbiano inciso sulla sua capacità lavorativa specifica (Sent. n. 908, Sez. III, del 16-1-2013).

 

Servitù di passaggio coattivo – Interclusione derivata dall’iniziativa edilizia del proprietario del fondo dominante

(cod. civ.: artt. 1051, 1052, 1175)

— In tema di servitù coattive, in virtù dei principi di correttezza e lealtà nei rapporti tra il proprietario del fondo dominante e quello del fondo servente, l’interclusione derivata dall’iniziativa edilizia del proprietario del fondo dominante in tanto può trovare tutela in quanto la stessa sia chiesta al giudice prima dell’intervento edilizio, in modo che questi possa valutare, senza i limiti derivanti dall’ormai avvenuta realizzazione dell’intervento stesso, quale sia la soluzione più idonea a contemperare le contrapposte esigenze dei proprietari (Sent. n. 944, Sez. II, del 16-1-2013).

 

Servitù per destinazione del padre di famiglia – Costituzione – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 1062)

— Ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia (nella specie, servitù di smaltimento delle acque), è necessaria la sussistenza dell’opera di asservimento, visibile e permanente, nel momento dell’alienazione dei fondi da parte dell’unico originario proprietario, essendo irrilevante, viceversa, che l’opera stessa (nella specie, l’impianto fognario) non fosse in regola con le prescrizioni di legge (Sent. n. 1269, Sez. II, del 18-1-2013).

 

Spese processuali – Liquidazione – Soccombenza reciproca delle parti

(cod. proc. civ.: art. 91)

— In tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della Corte territoriale che, in un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha individuato l’oggetto della lite nell’attribuzione di un assegno in favore di un coniuge, ed ha concluso che l’obbligato era il soccombente principale, in quanto gravato dell’assegno sia pure non con la modalità da lui considerata più svantaggiosa) (Sent. n. 1703, Sez. I, del 24-1-2013).

 

Spese processuali – Potere del giudice di ripartire le spese della consulenza tecnica d’ufficio in quote uguali tra la parte soccombente e la parte totalmente vittoriosa – Sussistenza – Fondamento

(cod. proc. civ.: artt. 61, 92)

— Compensando le spese processuali, il giudice può ripartire le spese della consulenza tecnica d’ufficio in quote uguali tra la parte soccombente e la parte totalmente vittoriosa, senza violare, in tal modo, il divieto di condanna di quest’ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica condanna, ma solo esclusione del rimborso, e, altresì, che la consulenza tecnica d’ufficio, quale ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno, anziché mezzo di prova in senso proprio, è un atto compiuto nell’interesse generale della giustizia e, dunque, nell’interesse comune delle parti (Sent. n. 1023, Sez. III, del 17-1-2013).

 

Usufrutto – Rinuncia – Non è una donazione

(cod. civ.: artt. 782, 978)

— La rinuncia all’usufrutto, quale negozio unilaterale meramente abdicativo, ha come causa la dismissione del diritto e, poiché il consolidamento con la nuda proprietà ne costituisce effetto ex lege, non può essere considerata come una donazione, né necessita della forma prescritta dall’art. 782 c.c. (Sent. n. 482, Sez. II, del 10-1-2013).

 

Vendita – Contratto definitivo concluso con scrittura privata non autenticata – Interesse della parte alla documentazione del negozio nella forma necessaria per la trascrizione

(cod. civ.: artt. 1470, 2657, 2932)

— Quando è stato concluso un contratto definitivo di compravendita con scrittura privata non autenticata, l’interesse della parte alla documentazione del negozio nella forma necessaria per la trascrizione non trova tutela nel rimedio previsto dall’art. 2932 c.c. — che concerne l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto e presuppone, quindi, la stipula di un preliminare —, potendo essere soddisfatto, invece, con la pronuncia di una sentenza di mero accertamento dell’autenticità delle sottoscrizioni (Sent. n. 1553, Sez. II, del 23-1-2013).

 

Vendita di cosa parzialmente di altri – Trasferimento della proprietà su una porzione di bene inferiore a quanto previsto nell’accordo negoziale – Obbligazione del venditore di restituire parte del prezzo – Ha natura non di debito di valore, ma di valuta – Fondamento

(cod. civ.: artt. 1224, 1277, 1284, 1480)

— In ipotesi di trasferimento della proprietà su una porzione di bene inferiore a quanto previsto nell’accordo negoziale, l’obbligazione del venditore di restituire parte del prezzo, conseguente all’accoglimento dell’actio quanti minoris ex art. 1480 c.c., ha natura non di debito di valore ma di valuta, trattandosi non di un’obbligazione risarcitoria ma di un rimborso a favore dell’acquirente, in quanto derivante dal venir meno, per effetto dell’accertamento della parziale alienità della cosa, della causa dell’obbligazione di pagamento dell’intero prezzo; né rileva la circostanza che il giudice abbia accordato al compratore, oltre agli interessi legali, anche la rivalutazione della somma, in quanto questa gli è stata attribuita non in virtù del riconoscimento alla stessa della natura di debito di valore ma per soddisfare il compratore del suo distinto diritto al risarcimento del danno, previsto dall’art. 1480 c.c. quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligazione di trasferire per l’intero la proprietà (Sent. n. 2060, Sez. II, del 29-1-2013).

 

Vendita – Garanzia per i vizi della cosa venduta – Conoscenza del vizio – Nozione

(cod. civ.: art. 1491)

— In materia di vendita, la conoscenza del vizio, che esclude la garanzia ai sensi dell’art. 1491 c.c., si ha quando il compratore abbia acquisito la certezza obiettiva del vizio nella sua manifestazione esteriore, ancorché egli non ne abbia individuato la causa (Sent. n. 1258, Sez. II, del 18-1-2013).