Massime civili della Cassazione di ottobre 2014

Appalto – Contratto – Recesso unilaterale – Ambito

(cod. civ.: art. 1671)

— Nell’ambito della disciplina privatistica dell’appalto, mentre è preclusa al committente la facoltà di risolvere unilateralmente il contratto per inadempimento dell’appaltatore, non essendo egli titolare di poteri di autotutela, l’esercizio del diritto di recesso non è subordinato a particolari presupposti, ma può aver luogo per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso, non essendo configurabile un diritto dell’appaltatore alla realizzazione dell’opera od allo svolgimento del servizio, la cui prosecuzione risponde esclusivamente all’interesse del committente (Sent. n. 21595, Sez. I, del 13-10-2014).

 

Appalto – Difformità e vizi dell’opera – Ricorso ad un accertamento tecnico – Quando non può giovare al danneggiato quale strumento per essere rimesso in termini

(cod. civ.: artt. 1667, 2934; cod. proc. civ.: art. 61)

— Il ricorso ad un accertamento tecnico non può giovare al danneggiato quale strumento per essere rimesso in termini quando dell’entità e delle cause dei vizi avesse già avuta idonea conoscenza perché compete solo al giudice del merito accertare se la conoscenza dei vizi e della loro consistenza fosse stata tale da consentire dapprima una loro consapevole denunzia e poi una non azzardata iniziativa giudiziale, anche in epoca precedente alla consulenza, pur senza l’ulteriore supporto del parere di un perito; in altri termini, la prova del momento in cui tale conoscenza sia stata acquisita può desumersi indipendentemente dall’espletamento di una consulenza tecnica e dal deposito di essa, da pregresse manifestazioni esteriori già note al committente e da questi segnalate all’appaltatore, ed è compito del giudice di merito accertare se la conoscenza dei difetti e della loro consistenza non fosse già di grado così apprezzabile da consentire di denunziarli responsabilmente senza necessità di un conforto peritale, nonché stabilire se le già avvenute comunicazioni all’appaltatore non integrino di per sé delle vere e proprie denunce, atte a far decorrere il termine prescrizionale (Ord. n. 22822, Sez. VI, del 28-10-2014).

 

Appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia – Contratto relativo – Nullità – Sussistenza – Fondamento e conseguenza

(cod. civ.: artt. 1346, 1353, 1418 II co., 1423, 1655; D.P.R. 380/2001)

— Il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., avendo un oggetto illecito, per violazione delle norme imperative in materia urbanistica, con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell’art. 1423 c.c. L’illiceità del contratto di appalto è ravvisabile solo ove esso sia, di fatto, eseguito in carenza di concessione e non pure per il solo fatto che quest’ultima sia rilasciata dopo la data della stipulazione del contratto di appalto, ma prima della realizzazione dell’opera, posto che non sarebbe conforme alla mens legis la sanzione di nullità irrogata per un contratto il cui adempimento sia stato intenzionalmente posposto al previo ottenimento della concessione o autorizzazione richiesta, con una condotta, quindi, aderente al precetto normativo, potendosi il contratto stesso considerare sospensivamente condizionato, in forza di presupposizione, al previo ottenimento dell’atto amministrativo, mancante al momento della relativa stipulazione (Sent. n. 21350, Sez. II, del 9-10-2014).

 

Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro – Rischio elettivo – Elementi caratterizzanti

(D.Lgs. 38/2000)

— In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Tale genere di rischio — che è in grado di incidere, escludendola, sull’occasione di lavoro — si connota per il simultaneo concorso dei seguenti elementi: a) presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa. Soltanto se nella condotta del lavoratore siano, in concreto, rinvenibili tutti tali elementi essa si può considerare idonea a comportare l’esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità rispetto all’infortunio. Se, invece, l’incidente si sia verificato per colpa esclusiva o concorrente del lavoratore, tale situazione non esclude la responsabilità del datore di lavoro, tanto più in ipotesi particolarmente delicate, quali sono quelle di caduta dall’alto verificatasi nella fase iniziale di approntamento delle misure protettive (Sent. n. 21647, Sez. lavoro, del 14-10-2014).

 

Assicurazione R.C.A. – Mancato pagamento del premio – Premio successivo al primo che sia stato pagato dopo la scadenza del periodo di tolleranza ex art. 1901 II co. cod. civ. – Garanzia assicurativa – Operatività per il sinistro verificatosi il giorno stesso del pagamento – Esclusione – Fondamento

(D.Lgs. 209/2005: artt. 122 e segg.; cod. civ.: art. 1901)

— In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, per le scadenze successive al pagamento del primo premio (o della relativa prima rata) di cui all’art. 1901, secondo comma, c.c., l’effetto sospensivo dell’assicurazione per l’ipotesi di pagamento effettuato dopo il quindicesimo giorno dalla scadenza della rata precedente cessa a partire dalle ore ventiquattro della data di pagamento, e non comporta l’immediata riattivazione del rapporto assicurativo dal momento in cui il pagamento è stato effettuato, trovando applicazione analogica la disposizione del primo comma del medesimo articolo, dettata per l’ipotesi del mancato pagamento del primo premio o della prima rata, e secondo cui l’assicurazione resta sospesa fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il contraente paga quanto è da lui dovuto. Ne consegue che ove il premio successivo al primo sia stato pagato dopo la scadenza del periodo di tolleranza di giorni quindici di cui all’art. 1901 c.c., per il sinistro verificatosi il giorno stesso del pagamento la garanzia assicurativa non è operante (Sent. n. 23149, Sez. III, del 31-10-2014).

 

Assicurazione R.C.A. – Responsabilità ultramassimale per mala gestio della società di assicurazione nei confronti dell’assicurato – Criterio di sufficienza

(D.Lgs. 209/2005: art. 128; cod. civ.: artt. 1175, 1375)

— Per il sorgere della responsabilità ultramassimale per mala gestio della società di assicurazione nei confronti dell’assicurato, è sufficiente che la prima sia stata posta in grado di valutare, usando l’ordinaria diligenza ed osservando gli obblighi di correttezza e buona fede, la fondatezza della richiesta risarcitoria del danneggiato, comunque conosciuta, ed abbia tuttavia omesso di mettere a disposizione il massimale (Sent. n. 23152, Sez. III, del 31-10-2014).

 

Assicurazione R.C.A. – Responsabilità ultramassimale per mala gestio della società di assicurazione nei confronti dell’assicurato – Onere probatorio – Riparto tra danneggiato ed assicuratore

(D.Lgs. 209/2005: art. 128; cod. civ.: art. 2697)

— In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, sul danneggiato che domanda la condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno oltre il limite del massimale incombe esclusivamente l’onere di dedurre il ritardo dell’assicuratore nella liquidazione del danno, mentre grava sull’assicuratore l’onere di eccepire e provare la non imputabilità del ritardo medesimo (Sent. n. 23152, Sez. III, del 31-10-2014).

 

Azienda – Trasferimento disposto dal datore di lavoro per superare una situazione di crisi economica – È insindacabile

(cod. civ.: art. 2112)

— I dipendenti di un ramo d’azienda ceduto non possono chiedere la nullità dell’atto di trasferimento, perché fatto dal datore di lavoro come tentativo per superare una situazione di crisi economica; tale motivazione, infatti, è insindacabile e non esclude la liceità dell’operazione realizzata secondo le prescrizioni di legge, in forza delle quali per la validità dell’operazione si ritiene necessario esclusivamente accertare che l’oggetto del trasferimento sia un’entità economica con propria identità, vale a dire organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera, ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati (Sent. n. 22688, Sez. lavoro, del 24-10-2014).

 

Azienda – Trasferimento – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Acquisto, da parte del cessionario, degli obblighi gravanti sul cedente in favore del lavoratore – Sussistenza – Conseguenza

(cod. civ.: artt. 2112 I co., 2934)

— Il cessionario di azienda acquista gli obblighi gravanti sul cedente in favore del lavoratore, a norma dell’art. 2112, comma 1, c.c. Ne consegue che egli risponde di tutti quelli non già estinti per prescrizione (Sent. n. 21565, Sez. lavoro, del 13-10-2014).

 

Circolazione stradale – Norme di comportamento – Precedenza – Violazione dell’art. 145 cod. strad. – Fattispecie

(cod. strad.: art. 145)

— Integra violazione dell’art. 145 del codice della strada la condotta dell’automobilista che, pur provenendo da destra, si immette su un’altra strada senza avere la possibilità di vedere, a causa della presenza di un cantiere, il sopraggiungere dell’altro veicolo con il quale viene a collisione; tale condotta integra la violazione contestata, rispetto alla quale non rileva la provenienza da destra perché l’eventuale diritto di precedenza non esime dall’obbligo di prudenza (Ord. n. 22358, Sez. VI, del 22-10-2014).

 

Circolazione stradale – Possesso dei documenti di circolazione e di guida – Sanzione pecuniaria inflitta per l’illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt. 126 bis II co., penultimo periodo, e 180 VIII co. cod. strad.

(cod. strad.: artt. 126 bis II co., 180 VIII co.)

— In tema di violazioni alle norme del codice della strada, con riferimento alla sanzione pecuniaria inflitta per l’illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt. 126 bis, comma 2, penultimo periodo, e 180, comma 8, del codice suddetto, il proprietario di un veicolo ha l’obbligo di conoscere sempre l’identità del conducente al quale affida il veicolo stesso e, di conseguenza, di comunicare tale identità all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta, al fine di contestare un’infrazione amministrativa. Egli non può sottrarsi legittimamente a tale obbligo di collaborazione in base al semplice rilievo di essere proprietario di numerosi automezzi o di avere un elevato numero di dipendenti che ne fanno uso (Sent. n. 21957, Sez. II, del 16-10-2014).

 

Circolazione stradale – Scontro tra veicoli – Presunzione di responsabilità del proprietario del veicolo ex art. 2054 III co. cod. civ. – Diligenza del proprietario e sufficienza dei mezzi adottati per impedire la circolazione del veicolo – Valutazione – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 2054 III co.; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— La valutazione della diligenza del proprietario e della sufficienza dei mezzi adottati per impedire la circolazione del veicolo deve essere compiuta secondo un criterio di normalità ed in relazione al caso concreto; il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito, il cui giudizio, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (Ord. n. 22318, Sez. VI, del 21-10-2014).

 

Circolazione stradale – Scontro tra veicoli – Presunzione di responsabilità del proprietario del veicolo ex art. 2054 III co. cod. civ. – Superamento – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 2054 III co.)

— Il proprietario del veicolo, il quale intenda sottrarsi alla presunzione di responsabilità prevista dal terzo comma dell’art. 2054 c.c., non può limitarsi a provare che la circolazione sia avvenuta senza il suo consenso (invito domino), ma deve dimostrare che la stessa abbia avuto luogo «contro la sua volontà» (prohibente domino), il che postula che la volontà contraria si sia manifestata in un concreto ed idoneo comportamento ostativo specificamente rivolto a vietare la circolazione ed estrinsecatosi in atti e fatti rivelatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate (Ord. n. 22318, Sez. VI, del 21-10-2014).

 

Circolazione stradale – Violazione della segnaletica stradale – Prosecuzione della marcia nonostante il semaforo rosso – Elemento costitutivo della pretesa sanzionatoria – Individuazione – Onere di chi si oppone alla sanzione – Oggetto

(cod. strad.: art. 146 III co.; cod. civ.: art. 2697)

— Con riferimento alla violazione dell’art. 146, comma 3, codice della strada (avere proseguito la marcia con semaforo rosso), l’elemento costitutivo della pretesa sanzionatoria è la documentazione fotografica dell’infrazione, rilevata con apparecchiatura omologata, mentre è onere di chi propone opposizione alla sanzione indicare in concreto sotto quale profilo l’apparecchiatura utilizzata non risulti conforme ai requisiti, di installazione o di funzionamento, previsti nel decreto di omologazione e come le eventuali mancanze possano avere inciso sulla rilevazione (Ord. n. 22191, Sez. VI, del 20-10-2014).

 

Competenza per territorio – Foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione – Individuazione del giudice competente – Criteri di riferimento

(cod. proc. civ.: artt. 18, 20, 38 I co.)

— Ai sensi dell’art. 38, comma 1, c.p.c., la contestazione della competenza territoriale deve fare riferimento a tutti i possibili criteri determinativi della competenza. In particolare, allorquando, nelle controversie in materia di obbligazioni, sia convenuta una persona fisica, la contestazione da parte di quest’ultima della sussistenza del foro del giudice adito e la conseguente necessaria indicazione del giudice competente deve essere svolta con riferimento, oltre che ai fori speciali concorrenti, di cui all’art. 20 c.p.c., anche in riferimento ad entrambi i fori generali di cui al precedente art. 18, cioè sia con riguardo alla residenza che al domicilio, poiché quest’ultimo ha consistenza di criterio di collegamento autonomo rispetto a quello della residenza (Ord. n. 20866, Sez. VI, del 2-10-2014).

 

Condominio – Condomino che agisca per l’accertamento della natura condominiale di un bene e convenuto che eccepisca la proprietà esclusiva senza formulare un’apposita domanda riconvenzionale – Integrazione del contraddittorio nei riguardi degli altri condomini – Necessità – Esclusione

(cod. civ.: artt. 1117, 2909; cod. proc. civ.: artt. 102 II co., 167 II co., 324)

— In tema di condominio negli edifici, qualora un condomino agisca per l’accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva, senza formulare, tuttavia, un’apposita domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione — con finalità di ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato — la comproprietà degli altri soggetti (Sent. n. 21685, Sez. II, del 14-10-2014).

 

Conto corrente bancario – Concessione di un’apertura di credito utilizzabile nell’ambito di un distinto rapporto di conto corrente – Non dà luogo ad un unico contratto, ma a due diversi contratti

(cod. civ.: artt. 1823, 1842, 1852)

— La concessione di un’apertura di credito utilizzabile nell’ambito di un distinto rapporto di conto corrente non dà luogo ad un unico contratto, ma a due diversi contratti, aventi ad oggetto rispettivamente la creazione di una disponibilità a favore del cliente e lo svolgimento di un servizio di cassa da parte della banca sul presupposto dell’esistenza della predetta disponibilità, la cui strumentalità ad un unico risultato, rappresentato dalle somme messe a disposizione del correntista, pur determinando un fenomeno di collegamento tra negozi, non esclude l’autonomia strutturale degli stessi, in relazione alla quale dev’essere pertanto valutata anche l’intercomunicabilità delle relative vicende (Sent. n. 20726, Sez. I, dell’1-10-2014).

 

Contratti collegati – Collegamento negoziale – Nozione

(cod. civ.: artt. 1322, 1325 n. 2, 1418)

— Il collegamento negoziale — cui le parti, nell’esplicazione della loro autonomia, possono dar vita con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto — non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, anche quando il collegamento determini un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, ciascuno di essi si caratterizza in funzione di una propria causa e conserva una distinta individualità giuridica. La conseguenza che se ne trae è che, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi simul stabunt, simul cadent. Ciò comporta che se un contratto è nullo, la nullità si riflette sulla permanenza del vincolo negoziale relativamente agli altri contratti (Sent. n. 21417, Sez. III, del 10-10-2014).

 

Contratto – Clausola di tacita presupposizione – Onere della parte che ne afferma l’esistenza – Oggetto

(cod. civ.: artt. 1353, 1362, 2697)

— L’affermazione dell’esistenza nel contratto di una clausola di tacita presupposizione — sulla base della quale risalire alla comune intenzione delle parti e ricostruire il complessivo comportamento anche posteriore alla stipulazione del negozio, nonché il senso globale (ma non esplicito) delle relative pattuizioni — impone alla parte che ne assume l’esistenza di allegare, nel contraddittorio processuale con l’avversario, la situazione di fatto considerata, ma non espressamente enunciata in sede di stipulazione del contratto, che sia successivamente mutata per il sopravvenire di circostanze non imputabili alla parte stessa, così da determinare un assetto ai propri interessi fondato su basi diverse da quello in virtù del quale era stato concluso il contratto (Sent. n. 22580, Sez. I, del 23-10-2014).

 

Contratto preliminare – Conclusione del contratto definitivo – Principio dell’assorbimento – Portata

(cod. civ.: artt. 1326, 1351, 1362, 2727)

— Secondo il principio dell’assorbimento, una volta concluso il contratto definitivo è in esso da ravvisare l’unica fonte dei diritti ed obbligazioni delle parti, sì che le clausole del preliminare ivi non riprodotte si presumono non conformi alla volontà delle parti diretta alla disciplina del negozio concluso. Tale riferimento alla presunzione implica, però, il dovere del giudice di verificare, indagando quale sia stata la comune intenzione delle parti nella conclusione del contratto definitivo, se quella presunzione possa nella specie ritenersi vinta da elementi di segno opposto, offerti dalle parti o desumibili dagli atti (Sent. n. 22984, Sez. I, del 29-10-2014).

 

Contratto preliminare – Essenzialità del termine per la stipula del definitivo – Criteri di riferimento

(cod. civ.: artt. 1351, 1457)

— In tema di contratto preliminare, l’essenzialità del termine per la stipula del definitivo non può desumersi dalla semplice dicitura «entro e non oltre» riportata in contratto, ma deve essere rilevata con riferimento ai comportamenti precedenti e successivi alla stipula del preliminare (Ord. n. 21891, Sez. VI, del 16-10-2014).

 

Deposito – Furto della cosa depositata – Onere della prova del depositario – Oggetto

(cod. civ.: artt. 1218, 1768, 2697; cod. pen.: art. 624)

— In caso di furto della cosa depositata, il depositario non è esente da responsabilità se si limita a dimostrare di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prevista dall’art. 1768 c.c., ma deve altresì provare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile (Sent. n. 22807, Sez. III, del 28-10-2014).

 

Diffamazione a mezzo stampa – Cronaca che abbia per oggetto immediato il contenuto di un’intervista – Fedeltà del testo pubblicato alle dichiarazioni rese dall’intervistato ed interesse pubblico alla diffusione dell’intervista – Necessità

(cod. pen.: art. 595 III co.; cod. civ.: art. 2043)

— Quando la cronaca ha per oggetto immediato il contenuto di un’intervista, e non risulta posta in dubbio la fedeltà del testo pubblicato alle dichiarazioni rese dall’intervistato, il giornalista non può essere chiamato a rispondere di quanto affermato dall’intervistato, sempreché ricorra l’ulteriore requisito dell’interesse pubblico alla diffusione dell’intervista (Sent. n. 23168, Sez. III, del 31-10-2014).

 

Diffamazione a mezzo stampa – Pubblicazione di notizie potenzialmente lesive dell’onore, della reputazione, della riservatezza e di interessi primari di terzi estranei al processo penale al momento della pubblicazione ed emergenti da conversazioni telefoniche intercettate fra un terzo ed un indagato, riportate nel contenuto di un’ordinanza di custodia cautelare – Quando deve ritenersi di interesse pubblico e quando no

(cod. pen.: artt. 51 I co., 595 III co.)

— Con riferimento alla cronaca giudiziaria, la pubblicazione a mezzo stampa o di altri mezzi di comunicazione di notizie potenzialmente lesive dell’onore, della reputazione, della riservatezza e di interessi primari di terzi estranei al processo penale al momento della pubblicazione, in quanto non rivestenti la qualifica di imputato o di vittima del reato, ed emergenti da conversazioni telefoniche intercettate fra un terzo ed un indagato, riportate nel contenuto di un’ordinanza di custodia cautelare (e, dunque, non più coperte da segreto nel processo penale), dev’essere ritenuta — ferma la valutazione della sua liceità sotto gli altri profili caratterizzanti il corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria in concreto, cioè quanto alle modalità (c.d. continenza) — di interesse pubblico (e, quindi, assistita dalla c.d. pertinenza), qualora la notizia venga pubblicata come parte di un’informazione sulla vicenda penale riguardante l’indagato (divenuto imputato per effetto della disposta custodia cautelare) e concerna un oggetto che, in aggiunta alla sua eventuale valenza probatoria, supposta, a torto o a ragione, dall’autorità penale in sede di emissione del provvedimento, presenti similarità rispetto all’oggetto del processo penale, cioè riguardi circostanze della stessa indole rispetto alla vicenda che ne è oggetto. Non deve, invece, essere ritenuta di interesse pubblico, qualora, pur pubblicata come parte di quell’informazione, concerna un oggetto del tutto privo di similarità in tal senso e dunque come tale del tutto irrilevante ed eccentrico ai fini della cronaca giudiziaria, cioè della conoscenza da parte dell’opinione pubblica di quello che è accaduto nel processo penale in relazione a ciò che di esso è oggetto ed eventualmente di ciò che potrebbe ulteriormente accadere sul piano penale in relazione ad un oggetto similare (Sent. n. 21424, Sez. III, del 10-10-2014).

 

Diffamazione – Offesa dell’altrui reputazione – Presupposto necessario

(cod. pen.: art. 595)

— L’offesa dell’altrui reputazione necessaria ad integrare l’illecito diffamatorio presuppone necessariamente l’attitudine della comunicazione a rendere individuabile il soggetto diffamato, sulla base di elementi che, ancorché non univoci, siano oggettivamente tali da far convergere l’offesa o il fatto offensivo su un determinato soggetto. (Nella specie, è stata esclusa l’ipotesi diffamatoria, atteso che il mero fatto che alcuni concittadini della persona offesa avessero potuto ipotizzare che fosse proprio lui il soggetto cui si faceva riferimento in una locandina di giornale in merito ad un arresto per mafia, non valeva ad attribuire alla notizia quell’efficacia individualizzante di cui era, di per sé, oggettivamente priva) (Sent. n. 21424, Sez. III, del 10-10-2014).

 

Dimissioni – Annullamento per incapacità naturale del dipendente dimissionario – Criterio di sufficienza

(cod. civ.: artt. 428, 2118; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— Perché l’incapacità naturale del dipendente possa rilevare come causa di annullamento delle sue dimissioni, non è necessario che si abbia la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell’atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere. La valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in Cassazione se adeguatamente motivata (Sent. n. 22836, Sez. lavoro, del 28-10-2014).

 

Dimissioni – Annullamento – Retribuzioni – Spettano dalla data della sentenza che dichiara l’illegittimità delle dimissioni – Fondamento

(cod. civ.: art. 2118)

— Il principio secondo il quale l’annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva non comporta il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, atteso che la retribuzione presuppone la prestazione dell’attività lavorativa, onde il pagamento della prima in mancanza della seconda rappresenta un’eccezione che, come nelle ipotesi di malattia o licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, deve essere espressamente prevista dalla legge, per cui nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara la loro illegittimità (Sent. n. 22063, Sez. lavoro, del 17-10-2014).

 

Diritti reali su cose altrui – Facoltà delle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori – Sussistenza – Fondamento normativo e conseguenza

(cod. civ.: artt. 1027, 1322)

— In base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. Pertanto, invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una qualitas fundi, le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria (Sent. n. 21356, Sez. II, del 9-10-2014).

 

Divorzio – Assegno – Determinazione – Criteri

(L. 898/1970: art. 5)

— Nella quantificazione dell’assegno di divorzio, il giudice del merito non deve necessariamente riferirsi a tutti i parametri di cui all’art. 5 della legge sul divorzio, potendo dare prevalenza anche soltanto ad alcuni o ad uno di essi (Ord. n. 21597, Sez. VI, del 13-10-2014).

 

Divorzio – Assegno – Determinazione – Limitata durata della convivenza matrimoniale – Rileva sul quantum dell’assegno

(L. 898/1970: art. 5)

— La limitata durata della convivenza matrimoniale attiene al quantum, e non al diritto all’assegno di divorzio (Ord. n. 21597, Sez. VI, del 13-10-2014).

 

Divorzio – Tentativo di conciliazione – Mancata comparizione di uno dei coniugi all’udienza presidenziale – Fissazione di una nuova udienza per il tentativo di conciliazione – Spetta all’insindacabile discrezionalità del presidente valutarne l’opportunità

(L. 898/1970: art. 4 VII co.; cod. proc. civ.: art. 360)

— In tema di divorzio, una volta instaurato regolarmente il contraddittorio tra le parti, in caso di mancata comparizione di uno dei coniugi all’udienza presidenziale, spetta all’insindacabile discrezionalità del presidente valutare l’opportunità di provvedere alla fissazione di una nuova udienza per il tentativo di conciliazione, tenendo conto delle ragioni della mancata presentazione del ricorrente. L’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità (Sent. n. 22111, Sez. VI, del 17-10-2014).

 

Donazione indiretta di un immobile – Fattispecie

(cod. civ.: artt. 179 I co. lett. b, 769, 809)

— L’elargizione di una somma di denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto di un immobile da parte del destinatario, che il disponente intenda in tal modo beneficiare, si configura come una liberalità che, in quanto avente ad oggetto l’immobile e non già la somma di denaro, è qualificabile come donazione indiretta, con la conseguenza che, ove il donatario risulti coniugato in regime di comunione legale, il bene non resta assoggettato al predetto regime, ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. b), c.c., senza che risulti necessario, a tal fine, che l’attività del donante si articoli in attività tipiche, essendo invece sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo e l’arricchimento del soggetto onorato per spirito di liberalità (Sent. n. 21494, Sez. I, del 10-10-2014).

 

Donazione indiretta di un immobile – Verifica che tale bene rientri o meno nella comunione legale – Attestazione, da parte del notaio, dell’avvenuto pagamento del corrispettivo dell’immobile con denaro donato dal padre alla figlia – Sufficienza – Esclusione – Fondamento

(cod. civ.: artt. 177, 769, 809, 2700)

— In caso di donazione indiretta di un immobile, per verificare se tale bene rientri o meno nella comunione legale, l’attestazione, da parte del notaio, dell’avvenuto pagamento del corrispettivo dell’immobile con denaro donato dal padre alla figlia, non può considerarsi sufficiente, trattandosi di una mera presa d’atto della dichiarazione resa al riguardo dalle parti. Ai sensi dell’art. 2700 c.c., l’atto pubblico forma piena prova solo della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, delle dichiarazioni rese dalle parti o dei fatti che egli attesti avvenuti in sua presenza, ma non è piena prova della veridicità intrinseca delle predette dichiarazioni (Sent. n. 21494, Sez. I, del 10-10-2014).

 

Eredità – Accettazione – Atti interruttivi della prescrizione – Operatività – Esclusione – Fondamento

(cod. civ.: artt. 480, 2941, 2943)

— In tema di accettazione dell’eredità non operano gli atti interruttivi della prescrizione, attesa la natura potestativa del diritto, che si realizza con il compimento dell’atto in cui si concreta l’accettazione. Il termine è invece soggetto alle cause ordinarie di sospensione ed agli impedimenti legali, non ricorrendo altri fatti impeditivi del suo decorso (Sent. n. 21687, Sez. II, del 14-10-2014).

 

Eredità – Accettazione – Perdita del diritto relativo – Conseguenze

(cod. civ.: artt. 457 II co., 481)

— La perdita del diritto di accettare l’eredità ex art. 481 c.c. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all’eredità e di conseguenza la totale inefficacia della chiamata all’eredità per testamento, con l’ulteriore conseguenza che non si verifica la coesistenza di una successione testamentaria e di una successione legittima, l’erede legittimo non perde la qualità di erede e si apre esclusivamente la successione legittima (Ord. n. 22195, Sez. VI, del 20-10-2014).

 

Giudicato penale – Efficacia vincolante della sentenza penale di condanna o di assoluzione nel giudizio civile – Ambito

(cod. proc. pen.: art. 654)

— L’efficacia vincolante del giudicato penale di cui all’art. 654 c.p.p. è propria delle sole sentenze penali irrevocabili di condanna o di assoluzione pronunciate in seguito a dibattimento e non anche delle sentenze di proscioglimento per prescrizione o per altra causa di estinzione del reato o di improcedibilità dell’azione penale (Sent. n. 21299, Sez. lavoro, del 9-10-2014).

— Al di fuori delle ipotesi, tassative, di vincolatività del giudicato penale nel giudizio civile previste dal vigente c.p.p., il giudice civile può anche avvalersi delle prove raccolte in sede penale quando esse siano state assunte nel contraddittorio tra le parti o quando il contraddittorio sia mancato per l’autonoma scelta dell’imputato di avvalersi di riti alternativi oppure quando tutte le parti gliene facciano concorde richiesta, ma in ogni caso deve procedere ad autonoma e motivata valutazione dell’attendibilità, dell’affidabilità e dell’idoneità delle prove medesime a dimostrare l’esistenza o l’inesistenza dei fatti rilevanti nella controversia civile innanzi a lui pendente (Sent. n. 21299, Sez. lavoro, del 9-10-2014).

 

Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – Fattispecie

(L. 142/1990: art. 27; L. 241/1990: art. 11 V co.)

— La cognizione della controversia relativa all’impugnazione di un provvedimento di revoca del beneficio finanziario accordato ad una società per la realizzazione di un investimento produttivo in sede di approvazione di un «patto territoriale», costituente una delle possibili forme di programmazione negoziata tra parti pubbliche e parti private in cui è, tra l’altro, necessario definire gli accordi programmatici ai sensi dell’art. 27 L. n. 142 del 1990, ed individuare le convenzioni necessarie per l’attuazione di detti accordi, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione al disposto di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 11, u.c., che demanda, in generale, a tale giurisdizione le questioni relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento pubblico di erogazione di una sovvenzione economica (Ord. n. 22747, Sez. Unite, del 27-10-2014).

 

Giusto processo – Termine ragionevole di durata – Violazione – Equa riparazione – Giudizio relativo – Compensazione delle spese tra le parti – Condizioni

(L. 89/2001; cod. proc. civ.: art. 92 II co.)

— Nel giudizio per l’equa riparazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo trovano applicazione le norme del codice di rito, e a norma dell’art. 92 c.p.c. il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate in motivazione (Sent. n. 21951, Sez. VI, del 16-10-2014).

 

Infortuni sul lavoro – Infortunio in itinere – Rischio elettivo – Nozione

(D.Lgs. 38/2000: art. 12)

— In tema di infortunio in itinere, il rischio elettivo, escludente l’indennizzabilità e che postula un maggior rigore valutativo, rispetto all’attività lavorativa diretta, implica tutto ciò che, estraneo e non attinente all’attività lavorativa, sia dovuto a scelta arbitraria del lavoratore, che abbia volutamente creato, ed affrontato, in base a ragioni ed impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente la sua attività lavorativa e per nulla connessa ad essa (Sent. n. 22154, Sez. lavoro, del 20-10-2014).

 

Infortuni sul lavoro – Infortunio in itinere – Uso del mezzo proprio – Valutazione – Criterio di necessità

(D.Lgs. 38/2000: art. 12)

— In tema di infortunio in itinere, l’uso del mezzo proprio, con l’assunzione degli ingenti rischi connessi alla circolazione stradale, deve essere valutato con adeguato rigore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio di incidenti. (Nella specie, è stata esclusa l’indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore che con il proprio mezzo si era recato al lavoro, atteso che era emerso che tra l’abitazione ed il luogo di lavoro vi era la distanza di 900 metri e di 70 metri dalla fermata dell’autobus all’ingresso della ditta; era stata altresì verificata l’esistenza di un servizio di linea con partenze mattutine alle ore 7.05 e 7.55 con percorrenza del tragitto in circa 3 minuti, sicché il lavoratore aveva senz’altro a disposizione il servizio di linea di trasporto pubblico, sia utilizzando la corsa delle 7.05 sia utilizzando la corsa delle ore 7.55, tale da consentirgli di raggiungere il posto di lavoro all’orario di lavoro programmato per le ore 8.00) (Sent. n. 22154, Sez. lavoro, del 20-10-2014).

 

Lavoro subordinato o lavoro autonomo – Qualificazione giuridica del rapporto – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 1414, 2094, 2222)

— Allorquando le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, abbiano simulatamente dichiarato di volere un diverso rapporto lavorativo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia, sia nel caso in cui l’espressione verbale abbia tradito la vera intenzione delle parti, sia nell’ipotesi in cui, dopo avere voluto realmente il contratto di lavoro autonomo, durante lo svolgimento del rapporto le parti stesse, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione e di essere passate ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione, il giudice di merito, cui compete di dare l’esatta qualificazione giuridica del rapporto, deve attribuire valore prevalente al comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto stesso (Sent. n. 21824, Sez. lavoro, del 15-10-2014).

 

Lavoro subordinato – Recesso ad nutum – Indennità di mancato preavviso – Spetta al lavoratore licenziato anche in caso di passaggio diretto del lavoratore dall’azienda che cessa dall’appalto a quella che subentra nello stesso appalto – Fondamento

(cod. civ.: artt. 1655, 2118 II co.)

— L’indennità di mancato preavviso ex art. 2118 c.c. spetta al lavoratore licenziato anche in caso di passaggio diretto del lavoratore dall’azienda che cessa dall’appalto a quella che subentra nello stesso appalto, mancando nella norma richiamata una previsione espressa che escluda la corresponsione dell’indennità (Sent. n. 21092, Sez. lavoro, del 7-10-2014).

 

Lavoro subordinato – Sanzioni disciplinari – Potere relativo esercitato dal datore di lavoro – Non può essere esercitato una seconda volta per gli stessi fatti

(cod. civ.: art. 2106)

— Il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare, una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere ormai consumato (Sent. n. 22388, Sez. lavoro, del 22-10-2014).

 

Lavoro subordinato – Trattamento di fine rapporto – Mance dei croupiers di una casa da gioco – Computabilità – Esclusione – Fondamento

(cod. civ.: artt. 2099, 2120)

— Deve escludersi la computabilità ai fini del calcolo del TFR di una quota forfettizzata delle mance dei croupiers di una casa da gioco, considerato che tale emolumento non presenta i caratteri che, ai sensi dell’art. 2099 c.c., caratterizzano la retribuzione e difettando specifiche previsioni della contrattazione collettiva che consentano di attribuirvi tale natura (Sent. n. 21928, Sez. lavoro, del 16-10-2014).

 

Licenziamento del dirigente – Risarcimento del danno da licenziamento ingiurioso

(cod. civ.: artt. 2043, 2118, 2697)

— Per dar luogo ad un danno risarcibile secondo il diritto comune il licenziamento di un dirigente deve concretarsi — per la forma o per le modalità del suo esercizio e per le conseguenze morali e sociali che ne siano derivate — in un atto ingiurioso, ossia lesivo della dignità e dell’onore del lavoratore licenziato, connotazione che non s’identifica con la mera mancanza di giustificazione del recesso. In altre parole, il carattere ingiurioso del licenziamento, che va provato da chi lo deduce, deriva unicamente dalla forma in cui esso venga espresso o dalla pubblicità o da altre modalità con cui sia stato adottato, idonee a ledere l’integrità psico-fisica del lavoratore. Solo in tali evenienze il danno da licenziamento ingiurioso eccede quello risarcibile a seguito di recesso meramente ingiustificato, strumentale o pretestuoso (Sent. n. 22536, Sez. lavoro, del 23-10-2014).

 

Licenziamento illegittimo – Conseguenze patrimoniali – Importo pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto – È dovuto anche ove la reintegra intervenga a meno di cinque mesi dal licenziamento invalido – Fondamento

(L. 300/1970: art. 18 V co.)

— In tema di conseguenze patrimoniali del licenziamento illegittimo, l’importo pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto previsto dal quinto comma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 rappresenta una parte irriducibile dell’obbligazione risarcitoria complessiva conseguente all’illegittimo licenziamento, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione; ne consegue che detto importo minimo è dovuto anche ove la reintegra intervenga a meno di cinque mesi dal licenziamento invalido, dovendosi escludere, in ogni caso, che la stessa sia cumulabile all’indennità risarcitoria (Sent. n. 22050, Sez. lavoro, del 17-10-2014).

 

Licenziamento illegittimo – Ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro

(L. 300/1970: art. 18)

— Perché sia rispettato l’ordine di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro nell’ipotesi di non ottemperanza del datore di lavoro occorre il ripristino dell’attività lavorativa e non soltanto la ricollocazione nell’organico aziendale (Sent. n. 23016, Sez. lavoro, del 29-10-2014).

 

Licenziamento orale e dimissioni – Lavoratore che deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio l’inefficacia o invalidità di tale licenziamento e datore di lavoro che, invece, deduca la sussistenza di dimissioni del lavoratore – Onere probatorio – Riparto

(cod. civ.: artt. 2118, 2697; L. 604/1966: art. 2)

— Qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio l’inefficacia o invalidità di tale licenziamento, mentre il datore di lavoro deduca la sussistenza di dimissioni del lavoratore, il materiale probatorio deve essere raccolto, da parte del giudice di merito, tenendo conto che, nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione del datore di lavoro assume la valenza di un’eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull’eccipiente ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c. (Sent. n. 22542, Sez. lavoro, del 23-10-2014).

 

Licenziamento per giusta causa – Fattispecie

(cod. civ.: art. 2119)

— È legittimo il licenziamento intimato al lavoratore che, nei giorni di malattia, svolge attività lavorativa gratuita in favore dei familiari, essendo tale attività del tutto incompatibile con lo stato di salute (Sent. n. 21093, Sez. lavoro, del 7-10-2014).

 — Integra giusta causa di licenziamento, comportante l’impossibilità intrinseca di prosecuzione del rapporto per recisione del vincolo fiduciario, la condotta d’insubordinazione del lavoratore rispetto alle direttive impartite dal suo superiore corroborata nella sua efficacia rescindente dal pregresso comportamento recidivante del lavoratore (Sent. n. 22152, Sez. lavoro, del 17-10-2014).

 — Sussiste la giusta causa di licenziamento nella condotta del dipendente di banca che nasconde, dietro alla rapina subìta, un’operazione a suo favore ma a danno della banca (estinzione anticipata di un prestito personale), allorché il trauma causato dalla rapina subìta non sia stato tale da far venir meno la lucidità richiesta dall’operazione complessa posta in essere dal lavoratore stesso, escludendo così che il lavoratore abbia agito in stato di incapacità (Sent. n. 22825, Sez. lavoro, del 28-10-2014).

 

Licenziamento per giusta causa – Principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito – Relatività

(cod. civ.: art. 2119; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— In tema di licenziamento per giusta causa, il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richiedano uno spazio temporale maggiore, in specie quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di atti convergenti in un’unica condotta, ed implichi pertanto una valutazione globale ed unitaria. In ogni caso, la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivato (Sent. n. 22291, Sez. lavoro, del 21-10-2014).

 

Licenziamento per giusta causa – Proporzionalità tra fatto addebitato e recesso – Valutazione del giudice di merito – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 1175, 1375, 2119)

— In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (Sent. n. 22292, Sez. lavoro, del 21-10-2014).

 

Locazione – Contratto – Rinnovazione tacita – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 1597)

— La rinnovazione tacita del contratto di locazione non può desumersi dal solo fatto della permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine; e nemmeno dal pagamento e dall’accettazione dei canoni, ovvero dal ritardo con il quale sia stata promossa l’azione di rilascio. Occorre infatti che queste circostanze siano qualificate da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto (Sent. n. 22234, Sez. III, del 20-10-2014).

 

Locazione di immobili – Danni per ritardata restituzione della cosa locata – Valutazione – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 1590, 1591, 2697)

— In tema di locazione di immobili, la valutazione relativa alla configurabilità o meno del danno da ritardato rilascio di immobile va effettuata, una volta che l’attore abbia provato l’esistenza di una favorevole occasione di vendere o di locare l’immobile, con valutazione prognostica ex ante in cui si consideri se, in mancanza del ritardo nella riconsegna, il proprietario avrebbe potuto, secondo la regolarità causale, concludere l’affare (Sent. n. 22352, Sez. III, del 22-10-2014).

 

Locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione – Conservazione del godimento dell’immobile dopo la notificazione dell’atto di citazione in giudizio con la quale si chiede la risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto di locazione per inadempimento del locatore – Effetti della risoluzione

(L. 392/1978: artt. 27 e segg.; cod. proc. civ.: art. 163 IV co.; cod. civ.: artt. 1453, 1591)

— In tema di locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo, la conservazione del godimento dell’immobile dopo la notificazione dell’atto di citazione in giudizio con la quale si chiede la risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto di locazione per inadempimento del locatore, è espressione non già di un godimento giustificato dalla pendenza della locazione, ma è al contrario un comportamento tenuto dopo la provocazione della sua cessazione con la proposizione dell’azione di risoluzione. Da ciò discende che gli effetti della risoluzione si producono sin dalla notifica dell’atto di citazione e da tale momento il conduttore, ex art. 1591 c.c., è tenuto a versare al locatore il corrispettivo convenuto per la locazione fino all’effettiva riconsegna dell’immobile senza poter invocare al riguardo il non ancora avvenuto versamento dell’indennità di avviamento da parte del locatore inadempiente (Ord. n. 20894, Sez. VI, del 3-10-2014).

 

Matrimonio – Annullamento per incapacità naturale – Criterio di sufficienza

(cod. civ.: artt. 120, 428)

— Al fine di annullare il matrimonio per incapacità naturale non è necessaria la prova che, al compimento dell’atto, il soggetto fosse affetto da una malattia idonea ad escludere in modo totale ed assoluto le sue facoltà mentali, ma è sufficiente l’accertamento di un perturbamento psichico tale da menomare gravemente, pur senza farle venire completamente meno, le capacità intellettive e volitive, e quindi da impedire od ostacolare una seria valutazione dei propri atti e la formazione di una cosciente volontà (Sent. n. 21493, Sez. I, del 10-10-2014).

 

Obbligazioni in solido – Transazione avente ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata – Debito residuo dei debitori non transigenti

(cod. civ.: art. 1304)

— Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto (Sent. n. 22231, Sez. III, del 20-10-2014).

— Se la transazione ha ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il debito residuo dei debitori non transigenti è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito. In caso contrario, se cioè il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al transigente, il debito residuo che resta tuttora a carico solidale degli altri obbligati dovrà essere necessariamente ridotto (non già di un ammontare pari a quanto pagato, bensì) in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto, giacché altrimenti la transazione provocherebbe un ingiustificato aggravamento per i soggetti rimasti ad essa estranei (Sent. n. 22231, Sez. III, del 20-10-2014).

 

Procedimento di ingiunzione – Decreto ingiuntivo – Ricorso sottoscritto da un difensore sfornito di procura – Invalidità del decreto – Non è di ostacolo al giudizio di merito che si instaura con l’opposizione

(cod. proc. civ.: artt. 83, 645)

— L’invalidità del decreto ingiuntivo, per essere stato il ricorso sottoscritto da un difensore sfornito di procura, non è di ostacolo al giudizio di merito che si instaura con l’opposizione, dovendo il giudice di questa accertare la fondatezza delle pretese fatte valere dall’ingiungente opposto, ove ritualmente riproposte in tale sede, senza che rilevi — salvo che ai fini dell’esecuzione provvisoria e dell’incidenza delle spese nella fase monitoria — se l’ingiunzione sia stata o no legittimamente emessa (Ord. n. 20943, Sez. VI, del 3-10-2014).

 

Processo civile – Prove raccolte in un processo penale – Risultanze della relazione di una consulenza tecnica esperita nell’ambito delle indagini preliminari – Utilizzabilità

(cod. proc. civ.: artt. 115, 116, 421 II co.; cod. proc. pen.: artt. 227, 326, 444)

— Il giudice civile può utilizzare e autonomamente valutare come fonte del proprio convincimento, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria, comprese le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente, le risultanze della relazione di una consulenza tecnica esperita nell’ambito delle indagini preliminari, soprattutto quando la relazione abbia ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi, e le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali; ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale è stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p., potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Sent. n. 22384, Sez. lavoro, del 22-10-2014).

 

Processo del lavoro – Appello – Termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione – Non è perentorio – Conseguenza

(cod. proc. civ.: art. 435 II e III co.)

— Nel rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione (art. 435, comma 2, c.p.c.) non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito (come nel caso all’esame) all’appellato lo spatium deliberandi non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione della causa (art. 435, comma 3, c.p.c.), perché egli possa apprestare le proprie difese (Ord. n. 22603, Sez. VI, del 24-10-2014).

 

Processo del lavoro – Art. 281 sexies cod. proc. civ. – Applicabilità

(cod. proc. civ.: artt. 281 sexies, 409)

— L’art. 281 sexies c.p.c. — che prevede la possibilità per il giudice di esporre a verbale, subito dopo la lettura del dispositivo di sentenza, le ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione — è compatibile col rito del lavoro, che proprio per la sua specialità non richiede la fissazione di un’udienza ad hoc per la precisazione delle conclusioni, né altre formalità prodromiche rispetto all’adozione di questo modello decisorio (Sent. n. 20820, Sez. lavoro, del 2-10-2014).

 

Proprietà – Azione di rivendicazione – Condomino convenuto – Può stare autonomamente in giudizio – Fondamento e limite

(cod. civ.: artt. 948, 1117; cod. proc. civ.: art. 102 II co.)

— Ciascun condomino convenuto in rivendica può stare autonomamente in giudizio, non occorrendo alcuna integrazione del contraddittorio, salva l’ipotesi che il condomino convenuto eccepisca la titolarità esclusiva del bene stesso, dovendosi in tal caso consentire a tutti gli altri condomini di confutare tale assunto (Sent. n. 20990, Sez. II, del 6-10-2014).

 

Prova documentale – Copie fotografiche di scritture – Onere di disconoscere espressamente la copia fotografica (o fotostatica) di una scrittura – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 2719)

— In tema di prova documentale, l’onere stabilito dall’art. 2719 c.c., di disconoscere espressamente la copia fotografica (o fotostatica) di una scrittura, implica necessariamente che il disconoscimento sia fatto in modo formale e specifico, con una dichiarazione che contenga un’inequivoca negazione della genuinità della copia, con indicazione puntuale dei motivi (Sent. n. 21842, Sez. I, del 15-10-2014).

 

Prova – Interrogatorio non formale – Valutazione del giudice contraria all’interesse della parte che lo ha reso – Configurabilità – Incensurabilità in sede di legittimità – Limite

(cod. proc. civ.: artt. 117, 360 I co. n. 5)

— La natura giuridica non confessoria dell’interrogatorio libero della parte non rileva ai fini della sua libera valutazione da parte del giudice, che può legittimamente trarre dall’interrogatorio stesso una valutazione contraria all’interesse della parte che lo ha reso. Tale valutazione, se congruamente e logicamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità (Sent. n. 20736, Sez. lavoro, dell’1-10-2014).

 

Prova testimoniale – Valutazione del giudice di merito

(cod. proc. civ.: artt. 116, 244)

— La valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sent. n. 22292, Sez. lavoro, del 21-10-2014).

 

Pubblico impiego privatizzato – Incarichi dirigenziali – Atti di conferimento e di revoca – Sono disciplinati dal diritto privato

(D.Lgs. 29/1993: art. 2 I co.; L. 241/1990; cod. civ.: art. 1322)

— In materia di pubblico impiego privatizzato, l’intera materia degli incarichi dirigenziali è retta dal diritto privato e l’atto di conferimento è espressione del potere di organizzazione che, nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 29/1993 e successive modifiche, è conferito all’amministrazione dal diritto comune. Ne consegue che se gli atti di conferimento e revoca degli incarichi sono ascrivibili al diritto privato, non possono che essere assoggettati ai principi fondamentali dell’autonomia privata e, in primo luogo, alla regola della normale irrilevanza dei motivi e non sono soggetti alle disposizioni della legge n. 241/1990 sui procedimenti amministrativi, né ai vizi propri degli atti amministrativi (Sent. n. 23062, Sez. lavoro, del 30-10-2014).

 

Responsabilità contrattuale del gestore di un impianto sciistico – Ambito – Responsabilità extracontrattuale – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 1218, 2043, 2697)

— La responsabilità contrattuale del gestore di un impianto sciistico non può essere estesa a tal punto da comprendere i danni causati a terzi dalla condotta non appropriata di alcuni utenti. D’altra parte, per affermare la responsabilità extracontrattuale del gestore stesso occorre la prova dell’omissione colpevole della segnalazione, effettuata da terzi, della condotta pericolosa, antecedentemente allo scontro (Sent. n. 22344, Sez. III, del 22-10-2014).

 

Responsabilità della P.A. per fatto illecito dei propri dipendenti – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 2049)

— La P.A. risponde del fatto illecito dei propri dipendenti tutte le volte che tra la condotta causativa del danno e le funzioni esercitate dal dipendente esista un nesso di occasionalità necessaria, e quest’ultimo sussiste tutte le volte che il pubblico dipendente non abbia agito come semplice privato per fini esclusivamente personali e del tutto estranei all’Amministrazione, ma abbia tenuto una condotta anche solo indirettamente ricollegabile alle attribuzioni proprie dell’agente (Sent. n. 21408, Sez. III, del 10-10-2014).

 

Responsabilità dell’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito – Fattispecie

(cod. civ.: artt. 1176 II co., 2043)

— L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, pur non essendo custode dei fondi privati che la fiancheggiano, né avendo alcun obbligo di provvedere alla manutenzione di essi, ha tuttavia l’obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada e, in caso affermativo, di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere. Ne consegue che è in colpa, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1176, comma 2, e dell’art. 2043 c.c., l’ente proprietario della strada pubblica il quale, pur potendo avvedersi con l’ordinaria diligenza d’una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario di questo, né adotti altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione (Sent. n. 22330, Sez. III, del 22-10-2014).

 

Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Danno da schiacciamento – È una fattispecie tipica di danno da cosa in custodia

(cod. civ.: art. 2051)

— Il danno da schiacciamento è una fattispecie tipica di danno da cosa in custodia e tale forma di responsabilità non è esclusa né dal fatto che il custode non sia proprietario della cosa custodita, né dal mero animus derelinquendi della cosa da parte del custode, né dalla circostanza che la cosa non sia di per sé pericolosa, né dall’affidamento incauto della cosa, né dallo smaltimento in modo improprio di essa (Sent. n. 21398, Sez. III, del 10-10-2014).

 

Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Onere del danneggiato di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno – Sussistenza

(cod. civ.: artt. 2051, 2697)

— L’art. 2051 c.c. non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. In particolare, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura tale da provocare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.). Qualora, per contro, si tratti di cosa di per sé statica e inerte, la quale richieda che l’agire umano, e in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.) (Sent. n. 22787, Sez. VI, del 27-10-2014).

 

Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Presunzione – Quando si applica per i danni subìti dagli utenti dei beni demaniali

(cod. civ.: artt. 2051, 2727)

— La presunzione di responsabilità di danni alle cose si applica, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni subìti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze e della natura limitata del tratto di strada vigilato. La presunzione in tali circostanze resta superata dalla prova del caso fortuito, e tale non appare il comportamento del danneggiato che cade in presenza di un avvallamento sul marciapiede coperto da uno strato di ghiaino, ma lasciato aperto al calpestio del pubblico, senza alcuna segnalazione delle condizioni di pericolo (Sent. n. 22528, Sez. VI, del 23-10-2014).

 

Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose – Attività di polizia svolta per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica – Quando può considerarsi pericolosa – Onere probatorio – Riparto tra soggetto danneggiato e P.A.

(cod. civ.: artt. 2050, 2697; cod. pen.: art. 53)

— L’attività di polizia svolta per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica non può ritenersi per sua natura attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., in quanto essa si configura come compito indefettibile imposto allo Stato e, quindi, come attività assolutamente doverosa e priva di intrinseca attitudine lesiva, siccome esercitata in difesa di beni ed interessi dell’intera collettività e volta ad opporsi, dunque, alle potenziali offese che possano essere ad essi inferte da agenti esterni. Tale attività può, tuttavia, ricondursi nell’ambito della fattispecie di cui al citato art. 2050 c.c. per la natura dei mezzi adoperati; ove, però, si tratti di armi e di altri mezzi di coazione di pari pericolosità, ai fini della sussistenza della responsabilità ex art. 2050 c.c. occorre riscontrare — in base ad un giudizio di merito non implicante un sindacato sulle scelte rimesse alla discrezionalità amministrativa, ma che attinge ai suoi limiti esterni — l’inoperatività della scriminante di cui all’art. 53 c.p. e ciò, segnatamente, in ragione di un uso imperito o imprudente degli anzidetti mezzi pericolosi ovvero del loro oggettivo carattere di anormalità ed eccedenza e, dunque, di sproporzionalità evidente rispetto alla situazione contingente. Ai fini del riparto dell’onere probatorio, spetta al soggetto danneggiato, che invoca la responsabilità della P.A. per l’intrinseca pericolosità dei mezzi effettivamente adoperati (armi o altri mezzi di coazione del pari pericolosi) nell’attività di polizia rivolta alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, fornire la dimostrazione di quelle concrete ed oggettive condizioni atte a connotare il fatto come illecito, in quanto antigiuridico (oltre a dover fornire la dimostrazione del nesso eziologico tra la pericolosità dei mezzi adoperati ed il danno patito); incomberà, invece, sulla P.A. la prova di aver adottato, in ogni caso, tutte le misure idonee a prevenire il danno (Sent. n. 21426, Sez. III, del 10-10-2014).

 

Risarcimento del danno da attività medico-chirurgica – Onere della prova dell’attore ed onere della prova del convenuto – Rispettivi oggetti

(cod. civ.: artt. 1218, 2697)

— Nel giudizio riguardante il risarcimento del danno da attività medico-chirurgica, l’attore deve provare l’esistenza del contratto ed allegare l’insorgenza, o l’aggravamento, della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, mentre è a carico del medico convenuto e/o della struttura sanitaria dimostrare che tale inadempimento non vi sia stato, ovvero che, pur essendovi stato, lo stesso non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno (Sent. n. 21025, Sez. III, del 6-10-2014).

 

Risarcimento del danno – Danno da ritardato adempimento dell’obbligo di risarcimento – Liquidazione – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 1282 I co., 2043)

— Il danno da ritardato adempimento dell’obbligo di risarcire il danno va liquidato applicando un saggio di interessi scelto in via equitativa dal giudice sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione ed il credito espresso in moneta dell’epoca dell’illecito. Tali interessi si produrranno dalla data in cui si è verificato il danno (coincidente, per il danno biologico permanente, con quella di consolidamento dei postumi) a quella di liquidazione; dopo tale data il coacervo di capitale e danno da mora, ormai trasformato in un’obbligazione di valuta, inizierà a produrre interessi al saggio legale, ai sensi dell’art. 1282, comma 1, c.c. (Sent. n. 21396, Sez. III, del 10-10-2014).

 

Risarcimento del danno non patrimoniale – Danno terminale – Liquidazione

(cod. civ.: artt. 1226, 2059)

— Il danno terminale è comprensivo di un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso) cui può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico); mentre nel primo caso la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, nel secondo caso risulta integrato un danno non patrimoniale di natura affatto peculiare che comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro — ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso — che sappia tener conto dell’enormità del pregiudizio (Sent. n. 23183, Sez. III, del 31-10-2014).

 

Risarcimento del danno non patrimoniale – Perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale – Diritto dei familiari superstiti ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto – Sussistenza e criteri di riferimento

(cod. civ.: artt. 2059, 2697)

— In caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare (Sent. n. 21917, Sez. lavoro, del 16-10-2014).

 

Scrittura privata disconosciuta – Istanza di verificazione – Produzione od indicazione delle scritture di comparazione da parte di colui che intende avvalersi della scrittura privata disconosciuta – Necessità

(cod. proc. civ.: artt. 61, 216)

— La produzione o l’indicazione delle scritture di comparazione da parte di colui che intende valersi della scrittura privata disconosciuta costituisce un onere imprescindibile per una corretta proposizione dell’istanza di verificazione; né evidentemente tale onere può essere assolto mediante l’allegazione di tali scritture ad una perizia di parte, tale fase del procedimento attenendo all’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio che comunque, oltre che eventuale, è in ogni caso successiva alla proposizione dell’istanza di verificazione (Sent. n. 22078, Sez. II, del 17-10-2014).

 

Scrittura privata – Onere di disconoscimento – Quando non sussiste

(cod. proc. civ.: artt. 214, 216)

— Non sussiste l’onere di disconoscere una scrittura privata (nel caso, la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento di una raccomandata contenente disdetta di un contratto di locazione) laddove sia pacifico che il documento non proviene dalla parte contro cui la scrittura è prodotta (ossia dal destinatario della disdetta), dal che consegue che — ove venga, invece, effettuato il disconoscimento — non sussiste l’onere di proporre istanza di verificazione e la scrittura deve essere apprezzata — sul piano probatorio — quale atto proveniente dal terzo, senza che possa determinarsi il diverso effetto dell’inutilizzabilità che consegue alla mancata proposizione dell’istanza di verificazione (Sent. n. 23155, Sez. III, del 31-10-2014).

 

Separazione personale dei coniugi – Accordo stragiudiziale che i coniugi, comproprietari della casa coniugale e senza prole, avevano raggiunto in ordine alla sorte di tale immobile comune ed in funzione di una loro eventuale separazione

(cod. civ.: artt. 150, 155 quater)

— Sull’accordo stragiudiziale che i coniugi, comproprietari della casa coniugale e senza prole, avevano raggiunto in ordine alla sorte di tale immobile comune ed in funzione di una loro eventuale separazione, deve essere valutata l’interferenza dell’assegnazione della casa familiare al marito disposta nel giudizio di separazione personale (Sent. n. 23001, Sez. I, del 29-10-2014).

 

Separazione personale dei coniugi – Impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare – Effetto

(cod. civ.: artt. 150, 155 quater, 1022)

— In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione del diritto reale di abitazione (Sent. n. 22456, Sez. II, del 22-10-2014).

 

Servitù di passaggio coattivo – Ipotesi in cui il fondo, originariamente unico, sia divenuto intercluso per effetto di alienazione di una parte di esso a titolo oneroso – Diritto dell’acquirente di ottenere la costituzione coattiva e gratuita della servitù di passaggio nel residuo fondo dell’alienante – Può farsi valere soltanto nei confronti di quest’ultimo e dei suoi eredi

(cod. civ.: artt. 1054 I co., 1470)

— Nell’ipotesi in cui il fondo, originariamente unico, sia divenuto intercluso per effetto di alienazione di una parte di esso a titolo oneroso, il diritto dell’acquirente di ottenere la costituzione coattiva e gratuita della servitù di passaggio, ai sensi dell’art. 1054 c.c., nel residuo fondo dell’alienante, può farsi valere soltanto nei confronti di quest’ultimo e dei suoi eredi, non anche nei confronti degli aventi causa a titolo particolare dell’alienante medesimo. Tuttavia, nel caso in cui la servitù sia stata già espressamente costituita contestualmente alla vendita con lo stesso rogito, si è per tale via creato un rapporto di natura reale che si trasmette ai vari aventi causa delle parti originarie, subentrati nella proprietà del fondo dominante e servente (Sent. n. 20982, Sez. II, del 6-10-2014).

 

Società per azioni – Deliberazioni – Azione di annullamento – Requisito di legittimazione – Individuazione

(cod. civ.: art. 2377; Cost.: art. 24 I co.)

— L’azione di annullamento delle delibere di una società per azioni, disciplinata dall’art. 2377 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. Ed infatti, qualora l’azione di annullamento della deliberazione sia diretta proprio al ripristino della qualità di socio dell’attore, sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti (Sent. n. 22784, Sez. I, del 27-10-2014).

 

Spese processuali – Condanna alle spese – Esito finale del giudizio che determina la totale soccombenza di una parte – Effetto

(cod. proc. civ.: art. 91)

— L’esito finale del giudizio che determina la totale soccombenza di una parte impedisce la condanna alle spese (sia pure parziale) della parte totalmente vittoriosa (Sent. n. 23209, Sez. lavoro, del 31-10-2014).

 

Trasporto di cose – Riconsegna delle merci – Modalità diverse dallo scarico dal mezzo di trasporto – Configurabilità

(cod. civ.: art. 1687)

— L’art. 1687 c.c. non prescrive particolari modalità per la messa a disposizione del destinatario delle cose trasportate e, in alcune circostanze, tale messa a disposizione può ben avvenire con modalità diverse dallo scarico delle dette cose dal mezzo di trasporto, in cui normalmente consiste (Sent. n. 23173, Sez. III, del 31-10-2014).

 

Vendita immobiliare – Contratto preliminare concluso da uno solo dei comproprietari pro indiviso – Facoltà del promissario acquirente di richiedere ex art. 2932 cod. civ. il trasferimento coattivo, limitatamente alla quota appartenente allo stipulante – Esclusione – Fondamento

(cod. civ.: artt. 1100, 1103, 1351, 1470, 2932 I co.)

— In caso di preliminare di vendita di un bene immobile, concluso da uno solo dei comproprietari pro indiviso, si deve escludere la facoltà del promissario acquirente di richiedere ex art. 2932 cod. civ. il trasferimento coattivo, limitatamente alla quota appartenente allo stipulante, non essendo consentito, in via giudiziale, costituire un rapporto giuridico diverso da quello voluto dalle parti con il preliminare, in quanto l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è ammessa, ex art. 2932, primo comma, cod. civ., solo «qualora sia possibile» (Ord. n. 21286, Sez. VI, dell’8-10-2014).

 

Vendita immobiliare – Contratto preliminare – Interpretazione di una clausola pattizia che fa dipendere la risoluzione del contratto da un evento futuro ed incerto – Criteri di necessità

(cod. civ.: artt. 1351, 1353, 1362, 1470, 2808)

— Ai fini dell’interpretazione di un contratto preliminare di vendita la presenza di una clausola pattizia che fa dipendere la risoluzione del contratto da un evento futuro ed incerto, quale quello della liberazione dell’immobile promesso in vendita dalle ipoteche su di esso gravanti, deve essere interpretata avendo riguardo alla volontà delle parti ed all’interesse che le stesse intendono perseguire (Sent. n. 20854, Sez. II, del 2-10-2014).

 

Vendita immobiliare – Contratto preliminare – Obbligazioni del compratore – Interessi compensativi sul prezzo

(cod. civ.: artt. 1351, 1460, 1470, 1499)

— Nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita immobiliare, il promittente venditore, mentre non ha diritto agli interessi compensativi ex art. 1499 c.c. per il periodo intercorrente tra la data della consegna del bene e quella della stipulazione del contratto definitivo prevista per la corresponsione del saldo del prezzo quando la consegna immediata del bene sia avvenuta per una specifica clausola del contratto preliminare, ha invece diritto agli interessi per il periodo successivo alla data prevista per detta stipulazione, ancorché il promittente acquirente abbia ritardato il pagamento del saldo per causa a lui non imputabile o avvalendosi dell’eccezione d’inadempimento (Sent. n. 20860, Sez. VI, del 2-10-2014).

 

Vendita immobiliare – Controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore – Non può essere risolta con la prova per testimoni o per presunzioni di un accordo simulatorio cui abbia aderito il venditore – Limite

(cod. civ.: artt. 1417, 2724 n. 3, 2727)

— In caso di compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724, n. 3, c.c.), con la prova per testimoni o per presunzioni di un accordo simulatorio cui abbia aderito il venditore (Ord. n. 20857, Sez. VI, del 2-10-2014).

 

Vendita immobiliare – Oggetto – Determinatezza o determinabilità – Criterio di necessità

(cod. civ.: artt. 1346, 1470)

— Per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che l’oggetto sia determinato, ovvero determinabile in base ad elementi contenuti nel relativo atto scritto (pertanto documentali e non estrinseci all’atto), dovendosi ravvisare il requisito della determinatezza o della determinabilità nell’inequivocabile identificazione dell’immobile compravenduto per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente conducenti al fine ed idonei a non lasciare margini di dubbio sull’identità del suddetto immobile (Sent. n. 21352, Sez. II, del 9-10-2014).