Si è verificato ciò che prevedevo……

Si è verificato ciò che prevedevo……

 

Sono trascorsi nove anni dal mio collocamento a riposo e tuttora non riesco a distogliere la mia attenzione dagli eventi che riguardano la categoria cui ho appartenuto per 47 anni.

Qualche collega «sopravvissuto» certamente si ricorderà di me. Oltre ad attendere ai miei compiti d’istituto, qualcuno ricorderà la mia ostinazione e la coerenza dimostrata nel perseguire un progetto che avrebbe dato più dignità a differenza della nebulosità in cui attualmente la categoria si dibatte.

Un maldestro gioco democratico, intervenuto a conclusione del Congresso di categoria celebrato a Bellaria nel 1997, ha intralciato quanto perseguivo, disperdendo anche quei colleghi che riponevano la loro fiducia nel mio operato.

All’epoca la categoria godeva di una rappresentanza sindacale ben organizzata sotto il patrocinio della Uil Pa, per la cui adesione fu garantita un’autonomia d’azione compatibile con l’atipicità del settore.

Nell’arco di 32 anni, dal Congresso di Rimini del 1965 alla Conferenza organizzativa di Bellaria del 1997, la categoria degli ufficiali giudiziari riuscì a piccoli passi ad adeguare il proprio ordinamento del 1959 al processo evolutivo intrapreso nell’ambito generale del Pubblico Impiego.

Determinanti furono i profili professionali, riconosciuti purtroppo con ritardo, acquisendo il requisito per l’accesso in carriera del diploma di laurea in Giurisprudenza o titoli equipollenti.

Si posero le basi per un inquadramento secondo le attribuzioni acquisite dalle tre categorie del settore, costituendo così la c.d. «unità operativa», struttura analoga a quella delle cancellerie.

Venti anni prima recriminai per l’errata scelta voluta dalla base, in occasione del D.P.R. 28-12-1970 n. 1079, di rifuggire dalla completa statizzazione del settore.

Il settore cancellerie, abbandonando la c.d. carriera speciale, conseguì uno sviluppo verticale di carriera con benefici economici e giuridici.

L’allora vertice sindacale volle difendere le voci accessorie ed il mantenimento sperequativo tra le varie sedi, ritenendo di tutelare privilegi che con il tempo si sono annullati.

I benefici difesi a spada tratta si vanificarono con la tassazione della indennità di trasferta, con il livellamento della percentuale sui recuperi, oggi subordinata alla produttività di Equitalia, con l’accantonamento del servizio protesti ed infine con l’appiattimento delle figure professionali.

La categoria poteva salvarsi ancora venti anni dopo con il D.P.R. 17-1-1990 n. 44 ridisegnando le figure professionali del settore che prevedeva le singole figure dall’operatore fino al funzionario.

Vi erano le premesse per approdare alla dirigenza, che allora non poteva rappresentare una utopia.

A Bellaria il Congresso doveva porre le basi per completare il progetto già tracciato dalla Commissione ministeriale nominata dal Ministro Conso con decreto primo settembre 1993, presieduta dal direttore generale Testi.

In data 14 marzo 1994 furono rese note le risultanze dei lavori che, secondo una piattaforma organica, disegnò l’assetto futuro del settore, dando dignità alle figure professionali operanti fino alla istituzione di un ruolo dirigenziale e ispettivo.

In quella Commissione dedicai tutte le mie forze, in quanto avevo già la consapevolezza che era l’ultima occasione da non perdere.

La mancata mia riconferma al vertice sindacale ha coinciso stranamente con un calo qualitativo del settore fino a raggiungere gli attuali livelli, che ho difficoltà a definire.

È lontano il ricordo in cui la rappresentanza Lisug Uil determinava una particolare attenzione sia ai vertici ministeriali che alle varie sigle sindacali, aventi forza contrattuale molto modesta, con posizioni marginali nelle trattative.

La vitalità della categoria attraverso i congressi è rimasto un ricordo, in quanto si è poi inseguito le alterne vicende dei contratti, che tra gli omissis hanno avuto il compito di riservare benefici compatibili con lo strano stato giuridico che si è voluto tutelare, lasciando ai soli operatori la libertà di abbraccio verso il pubblico impiego.

Un gioco discutibile ha favorito lo sfratto della categoria dalle stanze della Uil Pa, orientando il futuro sempre più incerto nel grembo della Ugl, che all’epoca ignorava in toto qualsiasi problema della categoria.

Non credo che la marea di indirizzi e-mail contattati da Nino Laganà comprenda altrettanti colleghi aderenti all’Ugl, tenuto conto che nelle rare circostanze di incontri con una rappresentante in carica, le posizioni erano sempre negative.

Nel corso dell’ultimo mio anno di servizio, il dibattito interno si concentrò sull’applicazione o meno della Circolare Cerrato, secondo cui il servizio notificazioni doveva essere promiscuamente assolto nell’ambito degli ufficiali giudiziari B3 e C1 per esigenze di ufficio.

Detta iniziativa in un primo momento fu subordinata alle esigenze di poche sedi, ma poi fu generalizzata al punto da instaurare una competenza promiscua. Le conseguenze furono quelle di creare una confusione di ruoli a vantaggio dei fautori dell’unificazione dei ruoli, da sempre avversata dal sindacato Lisug-Uil.

Il mancato controllo della situazione e la scarsa incisività di rappresentanti nei rapporti con l’Amministrazione hanno determinato una situazione del settore allo sbando.

Ultimo insuccesso è stata la promozione sul campo ai soli fini delle «denominazioni», che ha battezzato gli ex «ufficiali giudiziari C1» in «funzionari Unep» e gli ex «ufficiali giudiziari B3» in «ufficiali giudiziari» e, dulcis in fundo, gli operatori in assistenti giudiziari. Risultato che ha alimentato solo confusione e presa in giro, perché le prime due categorie non hanno conseguito alcuna nuova funzione e i novelli assistenti giudiziari hanno transitato in parte nelle cancellerie, sguarnendo gli Uffici Nep.

Tale gioco di prestigio ha solo consolidato la famosa Circolare Cerrato, che da soluzione temporanea è divenuta definitiva.

Dubito che gli attuali «funzionari Unep» non si rendano conto di non aver conseguito nulla, in quando tale denominazione era contemplata dal D.P.R. n. 44/1990 con attribuzioni ben definite, non previste erga omnes.

L’organico previsto era per 522 unità, che se non fosse stato contestato dalla base, avremmo avuto un contingente di veri funzionari, primo passo per assurgere alla dirigenza.

Il mio ricorso al Consiglio di Stato, riconosciuto nel merito, non fu accolto per il solo motivo che «mancava il contingente».

L’attuale miscellanea tra funzionari ed ufficiali annulla il principio della razionale distinzione tra attribuzioni, più volte sostenuto dal famoso giurista Massimo Severo Giannini, per una corretta organizzazione dei servizi. Distinzione indispensabile per garantire, secondo le competenze, le attività d’istituto destinate per ciascuna funzione.

Nella piccola sede di pretura, ormai lontano ricordo, il solo ufficiale giudiziario in organico rispondeva della propria gestione a dimensione umana.

Gli attuali carrozzoni operano secondo il principio che «tutti fanno tutto» determinando situazioni di confusione al punto che il funzionario o l’ufficiale di turno, con un carico indiscriminato e promiscuo di notifiche ed esecuzioni per la propria zona, deve assicurare la non perenzione dei termini, cercando però di prevedere un adeguato spazio di tempo per esecuzioni programmate.

Una riserva non è da escludere sull’approfondita conoscenza del processo esecutivo civile, quando i novelli esecutori vi provvedono senza una base mai posseduta, né pretesa.

Sotto il profilo della operatività il compito viene reso caotico, dovendo prevedere gli inutili contrattempi causati da indirizzi fasulli o traslochi da accertare, senza escludere la preoccupazione per le esecuzioni programmate che rischiano di essere accantonate.

Il travaso fuori controllo nelle cancellerie di parte degli attuali «assistenti» ha determinato in molte sedi un turno all’interno dell’ufficio di funzionari ed ufficiali per la ricezione degli atti. Pertanto è venuto meno il preposto al ramo di servizio, mobilitando più unità che vengono distratte a turno per compiti in precedenza assolti dagli ex operatori.

Una o due volte la settimana, ufficiali e funzionari, accantonando la dose quotidiana di notifiche ed esecuzioni per turno predeterminato, subiscono un carico di atti che si cumula progressivamente, ponendo in crisi l’efficienza degli uffici.

Ciò che disorienta è l’attuale rassegnazione sulla competenza promiscua, in quanto per entrambe le categorie la notifica costituisce ormai una fonte di sopravvivenza economica, sia pure nella modesta misura in cui viene remunerata.

In questo quadro ove regnano il pressappochismo e la confusione di ruoli, mi preme segnalare il caso di un funzionario che per mancata garanzia operativa si è trovato a dover rispondere al giudice penale per una serie di circostanze indipendenti dalla sua volontà.

Le conseguenze di tale situazione si sono concretizzate in una sentenza emessa dopo un iter processuale durato circa 7 anni, con la condanna ad un anno e tre mesi di reclusione e, per lo stesso periodo, all’interdizione dai pubblici uffici, pena sospesa in attesa del grado di appello.

Il reato contestato è fondato su un banale disguido di notifica tra una sentenza civile ed il relativo atto di precetto, a seguito del quale una rettifica della relata di notifica eseguita, con scrittura non interlineata ma con una sovrapposizione di data, ha dato luogo ad una imputazione per falso ideologico.

Le circostanze che hanno provocato la denuncia-querela potevano essere chiarite nel giro di un quarto d’ora, ma ciò non è avvenuto.

Il funzionario impegnato a tempo pieno per carico di lavoro, sottovalutando la denuncia, certo della sua buona fede, ha dovuto subire le conseguenze di una situazione non certamente determinata dalla sua volontà.

Il caso è interessante, in quanto le circostanze che hanno provocato il procedimento sono il frutto di una situazione di invivibilità in cui si opera in determinate sedi, ove la professionalità non ha più importanza, in quanto occorre smaltire gli atti prescindendo dalla loro natura e delicatezza.

Esaminando la sentenza ci si domanda con quanta serenità si possa svolgere il proprio lavoro, quando dietro la schiena è costante la minaccia del codice penale. Una più adeguata consapevolezza del magistrato renderebbe meno affannoso il ritmo di lavoro di chi collabora con lui, tenuto conto che la crisi della giustizia coinvolge tutti, ed in particolare che ha l’impatto ogni giorno con la società civile presso le loro abitazioni, le loro imprese ecc. ecc.

È giusto sottoporre all’esame di chi lo voglia le circostanze che hanno impegnato udienze per 7 anni, concluse con una sberla non dovuta a chi quotidianamente tenta di svolgere i suoi compiti come meglio può.

In data 1 dicembre 2006, l’ufficio riceve la richiesta di notifica di una sentenza civile da notificare ad una s.a.s. ed al suo procuratore.

L’ufficio trattiene l’originale e consegna le copie per il legale ad un ufficiale giudiziario e per la società al nostro funzionario.

In data 4 dicembre 2006 l’ufficiale giudiziario notifica la copia al legale e relazione l’originale custodito in ufficio, non richiamando l’attenzione del nostro funzionario, quanto meno a titolo di collaborazione. Né l’ufficio che custodisce l’originale si rende parte diligente a segnalare l’avvenuta notifica di uno dei due destinatari della sentenza.

In data 19 dicembre 2006 il legale della parte istante si reca in ufficio per richiedere l’originale della sentenza, presumibilmente notificata al completo. Rilevata la mancata notifica diretta alla società, rintraccia telefonicamente il nostro funzionario per essere notiziato a riguardo. Il funzionario raggiunto telefonicamente nell’ambito del territorio, impegnato in corso di esecuzione, compie la leggerezza di rassicurare il legale senza fornire dati certi sulla presunta avvenuta notifica.

Il legale già in possesso dell’atto di precetto, già predisposto il giorno precedente, omettendo di osservare quanto dispone l’art. 480, 2° comma, c.p.c., a pena di nullità, dopo aver concluso la telefonata con il nostro funzionario, richiede all’ufficio la notifica del precetto.

Al rientro in ufficio il funzionario, rinvenendo come di solito i vari avvocati che lo attendono, distratto dalle immancabili novità d’ufficio, dimentica di verificare l’effettuata o mancata notifica della sentenza.

Se al rientro avesse avuto la presenza del legale, che aveva l’obbligo di pretendere detta verifica, il funzionario sarebbe stato sollevato da responsabilità non dovute. Pertanto la copia della sentenza, come accertato in seguito, rimaneva giacente nella sua voluminosa borsa, in attesa di essere espletata unitamente alle varie richieste non urgenti.

Il legale non si rese parte diligente neanche nei giorni successivi, per cui la copia della sentenza rimase ancora inevasa, superata dalle richieste sopravvenute ed urgenti e dimenticata in buona fede dal nostro funzionario.

In data 27 dicembre 2006 il funzionario notifica la copia dell’atto di precetto avuto il 19 dicembre, senza rendersi conto che la copia della sentenza era ancora nella sua borsa probabilmente inserita in qualche atto a doppio foglio, difficilmente rilevabile.

Al rientro, nel relatare gli originali sulla base dei dati riportati nei suoi appunti, rinvenendo tra gli altri gli originali dell’atto di precetto e della sentenza, nella confusione regnante nelle ore di rientro, riporta gli stessi dati sia sulla copia della sentenza che su quella dell’atto di precetto. Senza associare quanto stava compiendo all’episodio del 19 dicembre 2006, evadendo meccanicamente lo scarico degli atti espletati.

È appena il caso di sottolineare che nella sede, ora accorpata, il reperimento di una scrivania con adeguata sedia nell’ora del rientro in ufficio era da conquistare, per cui in tale frazione della giornata bisognava assolvere ad operazioni contemporanee di scarico, accettazione ed eventuali contatti con gli utenti.

In data 8 gennaio 2007 il legale della società intimata fa notificare l’atto di opposizione al precetto per mancata notifica del titolo esecutivo.

In data 9 gennaio 2007 lo stesso legale si rende «parte diligente» recandosi nell’ufficio del funzionario per rilevargli la mancata notifica della sentenza, senza informarlo dell’avvenuta notifica dell’opposizione opportunamente eseguita il giorno precedente. Nella stessa circostanza il legale evidenzia che l’atto di precetto era stato notificato alla cognata e non alla moglie del legale rappresentante. Nello stesso tempo presenta la persona del legale rappresentante, del quale il funzionario ignorava le generalità, per omissione da parte dell’istante che non aveva ottemperato a quanto previsto per le s.a.s.

È da considerare che probabilmente il legale si era disturbato per assicurarsi della notifica della sentenza avvenuta dopo la sua opposizione, avendo forse rilevato che sul registro cronologico risultava essere stata notificata il 27 dicembre 2006.

Solo in data 9 gennaio 2007, il nostro funzionario svuotando la sua borsa rinveniva la copia della sentenza inevasa, regolarizzando a vista la notifica nella persona del legale rappresentante presente in ufficio. Sarebbe stato sufficiente per la parte querelante rinnovare il precetto, semmai a spese del funzionario. Concludendo così un disguido durato poco più di un mese.

Soluzione scartata, perché non conveniente per il querelante, consapevole delle condizioni della non più in attività da epoca antecedente alla emissione della sentenza civile finalmente notificata.

Il funzionario, resosi solo allora conto della doppia relata, redatta il 27 dicembre 2006, verifica se in ufficio è ancora custodito l’originale della sentenza. Purtroppo per lui l’originale non era stato ancora restituito, per cui commette la leggerezza di aggiornare la relata, non limitandosi ad interlineare i dati apposti il 27 dicembre 2006, ma sovrapponendo la data 9 gennaio 2007 senza intenzione di sopprimere tracce precedenti, aggiungendo «anzi a mani proprie», lasciando la precedente modalità così come risultante nella relata dell’atto di precetto.

La giurisprudenza legittima detta azione, in quanto l’atto, fino a quando è nella disponibilità del funzionario, è suscettibile di correzioni. Del resto il preteso falso ideologico non poteva sussistere, in quanto la copia era ancora in suo possesso e quindi non poteva considerarsi un falso l’atto rettificato.

Né il presunto falso ha determinato danni, in quanto il giudice non ha riconosciuto alcun danno materiale, né alcuna ipotesi di interesse del funzionario, che è stato soltanto vittima di circostanze concorrenti per il modo caotico in cui attualmente si è costretti ad operare.

Dette circostanze non sono state valutate dal giudice, per cui è stata emessa una sentenza ingiusta che si spera di annullare in grado di appello.

L’azione commessa in buona fede il 9 gennaio 2007 fu rubricata secondo l’imputazione prevista dagli artt. 476, 81 e 479 c.p. sino al giorno dell’udienza preliminare.

L’udienza del Gup derubricò la suddetta imputazione con l’eliminazione dell’art. 479 c.p.

È discutibile la determinazione del giudice nel rispolverare, attraverso il dispositivo della sentenza, l’art. 479 c.p. nonostante la motivazione del Gup.

Nell’aprile 2007, cioè dopo tre mesi dalla definitiva valida notifica della sentenza, fu formalizzata la denuncia-querela appesantita da una costituzione di parte civile corredata dalla citazione dell’amministrazione quale responsabile civile. Ciò al solo fine di sperare di ottenere qualcosa dal funzionario, stante l’insolvibilità della società e del suo legale rappresentante.

Il frutto del sistema reso caotico di lavorare viene quindi riassunto nel percorso descritto dal funzionario e nel dispositivo della sentenza che qui di seguito si riporta, rimanendo in attesa di qualche commento in merito.

Il Giudice……. in composizione monocratica…..

«Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara il funzionario Unep colpevole dell’imputazione a lui ascritta in rubrica con riferimento alla falsificazione della relata di notifica della sentenza e, in concorso di circostanze attenuanti generiche, valutate in termini di equivalenza rispetto alla contestata circostanza aggravante, lo condanna alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letti gli artt. 28, comma 3, e 31 c.p., dichiara il funzionario temporaneamente interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni uno e mesi tre.

Letto l’art. 163 c.p., ordina che l’esecuzione della pena sia sospesa nei termini e secondo le modalità di legge in favore del funzionario.

Letto l’art. 175 c.p., ordina che la presente sentenza non sia annotata sul certificato del casellario giudiziale, ove richiesto da privati per fini diversi da quelli elettorali.

Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna il funzionario, in solido con il responsabile civile Ministero della Giustizia, in persona del Ministro legale rappresentante p.t., al risarcimento del solo danno morale patito dalla costituita parte civile, liquidato nella complessiva somma di € 8.000,00, all’attualità, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e patrocinio in giudizio del querelante, costituito parte civile, liquidate nella misura complessiva di € 1.800,00, oltre accessori dovuti per legge.

Letto l’art. 331 c.p.p., dispone la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica in sede per le eventuali determinazioni a carico del funzionario in ordine alla violazione dell’art. 479 c.p. con riferimento alla compilazione della relata della sentenza, riportante la data del 27 dicembre 2006.

Letto l’art. 530 c.p.p., assolve il funzionario dalla residua imputazione, relativa alla avvenuta falsificazione della data di esecuzione della notifica del precetto, perché il fatto non sussiste.».

 

Dr. Marco Melli